BORGOTARO – A ridosso della Linea Gotica, sulla direttrice delle strade provenienti dai passi del Bocco e di Centocroci, posto sulla linea ferroviaria Parma-La Spezia, Borgotaro venne ad assumere-durante l’ultimo conflitto mondiale un grande rilievo strategico. In particolare dopo 1’8 aprile.
Non per nulla, i tedeschi vi tennero sempre un forte contingente di uomini e mezzi a presidio della linea ferroviaria, la quale assicurava, unica ormai, i col­legamenti tra il fronte e la Pianura Padana e tra ­quest’ultima e l’importante porto militare di La Spezia.
L’intera Valtaro fu così teatro di duri scontri armati tra le forti formazioni partigiane e i tedeschi, e nel momento più critico del conflitto, quando nella pri­mavera del ’45 gli Alleati progettarono l’offensiva, finale, divenne strategicamente importante liberare Borgotaro e togliere al tedeschi il controllo della  ferrovia.
Quando, il 5 aprile 1945, il comandante della 1ª Julia,  Primo Brindani, chiamato «Libero», venne convocato ­per << ordini urgentissimi, di importanza assoluta…>>, fu a tutti chiaro che si era giunti alla svolta finale della guerra.

Il giorno dopo, infatti, puntuale, arrivò l’ordine scritto da parte del Comando Unico Operativo. La missiva recitava: <<…l’offensiva alleata è imminente>>, e continuava sottolineando che occorreva << sviluppare un’azione a fondo contro i più importanti presidi della zona…>>. Inoltre vi si determinavano, per ogni Brigata, gli obiettivi e si precisava che <<l’attacco a fondo dei presidi sarà effettuato al mattino del giorno 8 aprile alle 4, ora legale, con azione contemporanea>>.
La 1ª Julia, rinforzata dal Gruppo Valtaro, aveva il compito di attaccare e occupare Borgotaro, Ostia e Roccamurata.
Rimaneva poco più di una giornata per preparare il piano di attacco, ma «Libero», da tempo, l’aveva in testa: non restava che farlo conoscere ai comandanti dei vari distaccamenti ed effettuare i dovuti spo­stamenti.

Per 1’8 tutto sarebbe stato pronto.   
Alle 4 del mattino tutta la valle si svegliò al crepitio delle mitraglie, agli scoppi delle bombe a mano e al lugubre ripetersi del ta-pum.

Soltanto a Borgotaro qualcosa non andava: il tempo brutto ritardò gli spostamenti, mentre silenziosi re­starono i due mortai che dovevano dare il segnale dell’attacco e produrre i primi danni all’edificio nel quale stava il presidio di oltre cento tedeschi.
Soltanto alle 6 e un quarto partirono i primi due colpi che andarono a segno. In seguito, per il cedimento del terreno e per la poca pratica, i colpi caddero distanti e i mortai restarono in silenzio.
I presidi tedeschi al Borgo erano due: quello del comando, asserragliato nell’edificio Ostacchini, e l’al­tro nella stazione ferroviaria e case adiacenti. Verso le sette entrarono in azione le armi automatiche di reparto (mitraglie e fucili mitragliatori) che batterono gli obiettivi nemici per permettere alle squadre d’as­salto di avvicinarsi al presidio.
Avvicinamento che presentava non poche difficoltà, per la vivace reazione dei tedeschi e anche perché i partigiani furono costretti ad avanzare casa per casa per eliminare alcuni posti di resistenza.   
Il combattimento proseguì accanito, mentre l’azione dei partigiani si faceva sempre più serrata, mentre entrava in funzione anche un bazooka.    ­
Nel pomeriggio un gruppo di sabotatori riuscì a portarsi fino al portone posteriore del palazzo e a porvi una carica di esplosivo. L’azione, seppur coraggiosa, non diede risultati per la mancata esplosione. Altri attacchi sferrati dai partigiani non ebbero successo per la strenua difesa opposta dai tedeschi, che, pur costretti spesso a non affacciarsi, impedirono i tentativi di avvicinamento con nutriti lanci di bombe a mano.
A sera, dopo un altro tentativo dei sabotatori, quan­do ormai i presidi di Ostia e Roccamurata erano nelle mani dei partigiani, a Borgotaro si decise di rinviare tutto al mattino seguente.
I tedeschi non avevano scelto a caso il loro quartier generale.
Il palazzo Ostacchini era più  alto di tutte le  altre costruzioni. Robusto, quadrato con tre ordini di pesanti davanzali e una cert’aria  da  caserma.

Portava  scritto,  a grandi lettere, un motto che  richiamava il  cognome del proprietario Super obstacula.

Dalle sue finestre si godeva di un’ ottima vista sui due rettilinei di avvicinamento. C’era inoltre una torretta sul tetto che consentiva una veduta a 360 gradi.
Alle ore 5 del 9 aprile riprese l’attacco. Il tempo era ancora brutto. Il morale dei partigiani a terra. Il nemico era bloccato, ma resisteva bene e non di­mostrava intenzioni di resa. Bloccati erano anche i partigiani, all’umidità esterna, incerti sul da farsi.
Era l’alba e «Libero», seguito da un partigiano, dopo aver richiesto la copertura delle armi automatiche, avanzava carponi lungo il fossato della strada, fino a raggiungere l’ultima casa distante pochi metri dal presidio nemico. Davanti a lui la rete che tanto aveva infastidito i sabotatori il giorno prima.
Un pensiero gli balenò in mente, si rivolge al par­tigiano e disse: << Tiriamola giù, prendi il paIo>>. Mi­racolosamente, dopo uno strattone la rete cadde. «Li­bero» ritornò, usando minor circospezione, ostentando sicurezza. Arrivò al comando partigiano e trovò un’at­mosfera diversa. Tutti poterono seguire l’azione: non era vero che non ci si poteva avvicinare, e poi quella rete maledetta era crollata.
I sabotatori si agitarono, il loro comandante « Napoli » era pronto per un nuovo tentativo. Aveva in mente un’idea pazza: << Mettiamo una carica più potente, farà scoppiare a catena le altre due di ieri rimaste inesplose>>.

Quando la nuova carica esplose si capì che l’idea era valida. Un boato tremendo, come di tuoni che si ripetono. L’intero edificio parve sul punto di sradicarsi, la polvere lo avvolgeva, si alzò una colonna di fumo.
Quando tutto si diradò, al piano terra, apparve un drappo bianco. << Andiamo a prenderli>>; ordinò«Libero».
Si avvicinarono in molti, altri drappi sventolarono alle finestre, una voce al megafono invitava gli as­sediati a uscire. All’improvviso da una finestra cadde un grappolo di bombe amano, un grappolo di morte. Se ne accorse «Libero», che cominciò a gridare e si gettò nella scarpata; altri si ripararono sotto i balconi dell’ edificio.
I partigiani reagirono con rabbia, spararono all’impazzata all’interno del portone e allora, come d’incanto, uscirono a decine i tedeschi. Vennero cat­turati due ufficiali, sei marescialli, 19 sottufficiali, 94 militari.

Il comandante tedesco appena fuori dal palazzo cercò con lo sguardo tra i partigiani, poi puntò su «Ailù». Si guardò l’orologio d’oro al polso, lo slacciò e disse: << E’ lui, l’ho visto avanzare diverse volte. Molto bravo. So che qualcuno me lo toglierà, vorrei che fosse lui ad averlo >>.
Vicino a loro, sprezzante verso tutto e tutti, il maresciallo maggiore Fritz Reinhold, quello che non volendo arrendersi aveva lanciato il grappolo di bombe, rischiando di rovinare la festa.
Era la mattina del 9 aprile: in Valtaro la guerra era  finita.
   
Giacomo Bernardi