Silvano ci ha mandato un nuovo racconto che come al solito risulta subito coinvolgente e sicuramente scatenerà ricordi in molti lettori.
Era il 1953 anno di elezioni politiche. Come per la consultazione elettorale precedente, la contesa politica era accesa. I toni da ambo le parti erano aspri. Anche in queste elezioni, la Chiesa scese in campo con avvisi affissi all’entrata delle chiese che ammonivano i fedeli a non votare per il Fronte Popolare (socialisti e comunisti) pena la scomunica; (nelle elezioni politiche precedenti i toni usati dalla Chiesa erano molto più eloquenti: addirittura era apostata della religione che votava comunista o faceva propaganda per i comunisti). I sacerdoti, nelle omelie, ricordavano ai fedeli che chi votava comunista andava all’inferno e chi dall’altra parte andava in paradiso. Roba molto pesante insomma. Diversi mesi prima della consultazione popolare, La Democrazia Cristiana presentò una legge elettorale maggioritaria (la famosa “Legge Truffa”). La legge non venne approvata dal Parlamento e rimase il proporzionale. Nel periodo elettorale la lotta politica si radicalizzò e i manifesti della propaganda riflettevano quel clima di feroce contapposizione. Molte canzonette irriverenti ed irrispettose furono dedicate sia al Presidente del Consiglio dei Ministri che al Ministro degli Interni. Ne ricordo una che iniziava cosi:“la moglie di De Gasperi (Scelba) ne ha fatto una grossa, ha fatto una bambina con la camicia rossa”. C’era di tutto e di più: in un famoso manifesto di propaganda elettorale della Democrazia Cristiana c’era un elettore nell’atto di entrare nella cabina elettorale e la didascalia diceva : Dio ti vede, Stalin no! Erano tempi difficili.
Le persone, dopo tante tribolazioni a causa della guerra, avevano voglia di divertirsi. L’unico divertimento era andare al cinema e nelle serate d’inverno giocare a tombola. C’era un solo cinema all’epoca in paese. Qualcuno creò sale da ballo, il dopolavoro in stazione ma venne chiuso quasi subito: i Savoia della omonima gelateria in Viale della Libertà non ebbero vita facile perchè senza l’autorizzazione del Parroco non si ballava e per diverso tempo non si ballò. Poteva esserci l’autorizzazione del Sindaco, dei Carabinieri, ma senza quella del Parroco nulla da fare, non si ballava! I giovani andavano allora nelle frazioni intorno al paese ma anche lì non era facile: i giovanotti del posto non vedevano di buon occhio i “concorrenti paesani” e più di una volta ci furono scontri.
Per andare al cinema in paese e tornare a casa, quelli della Stazione e di San Rocco dovevano attraversare il ponte che divide questi due quartieri dal paese. In quel tempo le strade erano scarsamente o per nulla illuminate e nelle sere senza luna era buio pesto. Una sera di primavera, la luna era all’ultimo quarto e alcune persone nell’attraversare il ponte di San Rocco per tornare a casa dopo aver visto un film, videro qualcosa di strano, mai visto prima nella brughiera: a un centinaio di metri a monte del ponte si materializzò un fantasma o qualcosa a lui somigliante; un qualcosa con un lenzuolo bianco che si agitava andando avanti e indietro, spariva e ricompariva. A quei tempi non c’erano case da quel lato del ponte, tranne la casa di un fabbro; tutto il resto era greto e brughiera con alti e fitti cespugli, sin quasi nei pressi del paese.
Chi vide quella “cosa” lo raccontò in giro ma li per li non furono credute: immaginazione o troppa fantasia giovanile, qualcuno disse; qualcun’altro si lanciò in ipotesi più esoteriche, altri pensarono ad uno scherzo di cattivo gusto di qualche buontempone. Passarono un paio di settimane, del fantasma più nessuna apparizione e la cosa finì per essere quasi dimenticata. Il fantasma però riapparve e le persone che erano in quel momento sul ponte lo videro: un qualcosa di bianco che volteggiava nella brughiera. Avanzava, indietreggiava, si spostava ora a destra ora a sinistra alzando e abbassando le braccia o quello che fossero. Spavento per i malcapitati. Furono investiti della faccenda i Carabinieri che indagarono, ma il mistero non venne risolto.
Il fantasma sapeva scegliere i momenti più propizi per l’apparizione: non poteva farlo quando non c’era la luna: troppo buio e nessuno lo avrebbe visto; non poteva apparire quando c’era luna piena: troppo visibile e per lui pericoloso. Appariva ad un ora tarda del primo o dell’ultimo quarto di luna. Era la luce giusta: né troppo chiaro né troppo scuro. Alcuni coraggiosi organizzarono appostamenti nella brughiera e attesero la comparsa del fantasma per alcune sere con la speranza di prenderlo (credo più per la curiosità di sapere chi fosse che per eliminare un “pericolo”). Nulla! Il fantasma era sparito. Poi una sera riapparve, mancavano pochi giorni alle elezioni, lo rincorsero, il fantasma lasciò cadere il lenzuolo e iniziò a correre saltando di sasso in sasso e nascondendosi nella brughiera. Non lo presero.
Le elezioni politiche si svolsero senza incidenti in tutto il Paese e furono vinte dalla Democrazia Cristiana e suoi alleati. Le tensioni politiche si quietarono, gli animi si rasserenarono e la vita riprese a scorrere normalmente. Del fantasma più nessuna traccia: sparì, semplicemente, cosi come apparve alcuni mesi prima.
Molti interrogativi, nei mesi a seguire, su chi fosse il fantasma. Se ne parlava nelle osterie e nei bar. Tanti sospetti, nessuna certezza, ma un nome ricorreva più di altri. Mai fu fatto a voce alta però molti erano sicuri di quel nome. Anch’io lo conosco. Egli non è più ,però chiunque sia stato ad interpretare quel ruolo, il suo nome è custodito delle acque del fiume che lo videro ballare una sola estate e dalla storia minore del paese di un tempo ormai lontano. 
Silvano Ottonari