Seconda parte per questo avvincente racconto che vede protagonista il nostro Adelio e tutti i personaggi della resistenza valtarese. I primi scontri, le imboscate, i tradimenti rappresentano momenti da non dimenticare.

Monte Vaccà Pasqua 1944

Dopo una puntata (ricorda Jack) in quel di Bedonia per dare forse una dimostrazione di forza e di coraggio, ricordo la Pasqua di sangue del 1944 con lo scontro di Monte Vaccà.
Allo sparuto nucleo del Penna, ai primissimi partigiani di Tomba, si erano aggiunte altre formazioni che in diverse vallate davano inizio alla resistenza dell’Appennino parmense in forme organica ed agguerrite. Per i tedeschi ed i fascisti, anche se venivamo chiamati “banditi”, costituivamo una forza militare di disturbo quotidiano, non più noi eravamo gli ospiti indesiderati, ma loro erano i banditi, i criminali.

Cominciavano così i primi scontri aperti, in forza erano venuti a presidiare i paesi Principali della nostra montagna e Monte Vaccà ne è l’esempio.
Eravamo informati che una nutrita colonna di fascisti e tedeschi avrebbero voluto, una volta per tutte, porre fine ella resistenza armata.

L’imboscata era prevista sul passo di Monte Vaccà.
Ricordo che assieme a Libero (Primo Brindani) avrei dovuto sganciare la prima bomba a mano sulle strada per bloccare la colonna e quindi da un versante e dall’altro del passo, avremo dovuto inchiodare il nemico e distruggerlo.

Si racconta che una spia abbia indicato al nemico, giunto nel frattempo, quasi alla sommità del passo, le nostre posizioni.

La colonna così si arrestò prima di cadere nell’imboscata ed il nemico ci aggirò alle spalle. In pochi minuti ci attestammo sulla sommità della collina sovrastante il passo per cercare di arrestare il nemico.
Scontro a fuoco, disorientamento, morti e feriti furono il primo risultato.

Il nemico credendo di avere in pugno la situazione tallonava i ribelli finché grazie ad un altro gruppo —.Fanfulla, Aldo (Eugenio Solari) Bill ed altri—
l’avanzata venne eroicamente arrestata ed il nemico nazifascista incassava uno dei colpi più umilianti.

Fu una giornata eroica e non sarà mai dimenticata perchè ha lasciato in tutti noi il ricordo di quelle fatidiche giornate di lutto.

Rastrellamento del maggio 44

La rabbia nazi—fascista si scatenò furente contro le nostre forze e la coraggiosa popolazione della montagna (meriterebbe un capitolo a parte).

Io ricordo quelle giornate come le può ricordare un uomo braccato da un villaggio all’altro, da un dirupo ad un altro in cerca di sottrarsi assieme a tutti gli altri (in piccoli gruppi) alla morte certa.
Fame, stenti, insonnia furono assieme ella morte, al pericolo, l’aspetto fondamentale di quelle angosciose giornate.

La resistenza dopo il rastrellamento non scomparve ma si trasformò e dilagò in altre vallate per ricomporsi, per ritrovarsi, per ricostruirsi collaudata dalle nuove terribili prove di morte e di sacrifici, più forte di prima.
Passai così nel versante borgotarese e precisamente ai Linari alle falde del monte Molinatico.

Linari – maggio—giugno 1944 .

Ai Linari mi ritrovai con vecchi amici, Giuseppe Solari, Rosetta Solari, Carlo Ghezzi, Alberto Zanrè, Dante Beccarelli e sia il gruppo Zanrè che la 1° Brigata Julia ripresero la lotta armata nel Borgotarese.

Ricordo gli attacchi in piccole formazioni due, tre partigiani contro pattuglie tedesche e fasciste (io e Jack fummo spesso assieme durante questa fase della guerriglia).

Ricordo l’attacco alla corriera di brigate nere distrutta da noi fra Pontolo e Baselica, ricordo i prelievi fatti da me e da altri al casello ferroviario vicino alla galleria del Borgallo là dove dovevano discendere i passeggeri dei treni per il trasbordo.

Era tattica pericolosa che poteva ottenere risultati positivi solo adoperando il freddo coraggio di chi si trova, in pochissimi, ad agire in silenzio in mezzo al nemico.

Eravamo sempre presenti, sempre pronti ad accettare il pericolo, sempre disposto a morire pur di assottigliare le file nemiche, pur di creare il panico fra i nazi—fascisti.

Ricordo di quell’epoca il colpo alla stazione ferroviaria di Borgotaro compiuto da me, Dante Beccarelli, Aliù e dalla formidabile Rosetta Solari coraggiosa quanto il migliore e più coraggioso dei partigiani.

Ricordo il prelievo di parecchie unità di militari della S. Marco prelevati con l’ausilio dell’allora parroco di S. Vincenzo in località “Frasso”; ricordo lo scontro a fuoco (protagonisti io, Jack e Lupo (Aldo Pelizzoni) sotto il ponte di ferro della ferrovia di Borgotaro e ricordo la formidabile, sanguinosa battaglia de ponte della Manubiola.

Battaglia del Manubiola — Giugno 44

Vennero, neri nella divisa e nei pensieri, armatissimi, militarmene molto disciplinati. Spietati come cani arrabbiati, vennero in cerca di sangue innocente.
Spararono, uccisero, ferirono. Mozzarono la testa ad un patriota servendosi di une zappa.

Cruenti giornate di lotta. Presero degli ostaggi. Uomini, donne, bambini. Si incamminarono per non accettare battaglia e vollero rientrare forse già soddisfatti del bottino umano, dei lutti creati in direzione di Parma.

La resistenza scattò fulminea, il distaccamento di Poppai era apostato nei pressi della Manubiola in agguato. Ci servimmo del mezzo di trasporto di Delmaestro per raggiungere la orda barbarica, per fermarla e salvare gli ostaggi.

Io ricordo la lotta che ingaggiammo prima contro il tempo per raggiungere il nemico entro la zona montana, comunque prima del Poggio di Berceto o meglio prima del ponte della Manubiola, al fine di aprire il fuoco allo scoperto ma in posizione strategicamente a noi Vantaggiosa.

Arrivammo a Lossola, ci portammo verso la Manubiola, ci appostammo in posizioni frontali rispetto alla strada Giare di Berceto—Ponte Manubiola. Popai ed i suoi uomini. erano già in posizione.

Arrivammo in tempo, il nemico fu agganciato prima del ponte ed il primo automezzo incendiato dal fuoco concentrico impedì ai tedeschi di sganciarsi e li costrinse ad accettare la battaglia.

Il nemico si faceva schermo degli ostaggi e lo scontro fu veramente micidiale e sanguinoso. Dopo qualche ora il nemico si arrese lasciando sul terreno molti morti; gli ostaggi vennero salvati anche se qualcuno uscì dalla mischia ferito. Anche da parte nostra dovemmo  lamentare morti e feriti.

Ricordo in quell’attacco Dragotti, Bruno Leoni, Carlo Ghezzi, Fanfulla, Poppai ed altri ancora, tutti eroici, tutti valorosi. I prigionieri tedeschi che ammontarono a parecchie decine vennero trasportati a Borgotaro e quindi avviati al Castello di Compiano.

La popolazione di Borgotaro che nell’attesa fremeva per il risultato dello scontro ci ricevette al ritorno abbracciandoci e gettando fiori al nostro passaggio.
Fu una giornata. di sangue e di gloria che difficilmente sarà dimenticata da chi ha vissuto quelle ore.

E così venne il giugno 1944 e con giugno la occupazione di Borgotaro. Fu una giornata di tripudio, di profondo sentimento nazionale, di incontri patetici, di ideali vivificanti, di speranze alla soglia della certezza.

E tutto l’insieme di queste speranze, di queste gioie, purtroppo, Vennero funestate da un avvenimento che ci riportò alla spietata realtà della nostra guerra.
Tre macchine tedesche, filtrate entro le nostre linee, forse per un rallentamento della nostra vigilanza, penetrarono nel bel mezzo del raduno della folla anonima e dei patrioti, sparando all’impazzata per crearsi un varco e per sfuggire al nostro attacco invero indisciplinato e obbligato ad essere tale per il subitaneo nuovo elemento portatore di confusione e di morte.

Il nemico venne annientato, ma anche da parte nostra dovemmo subire una vittima.
Borgotaro divenne una libera repubblica, gli uffici comunali l’annonaria vennero da noi occupati, un giornale libero contribuiva ad
informare l’opinione pubblica. I partigiani, la popolazione liberamente vivevano la loro esistenza circondati da ogni parte però dal
nemico nazifascista che non avrebbe subito supinamente la realtà del momento, in quanto la guerra era in pieno svolgimento
e sul fronte italiano alterne erano le vicende.

E così fu. Dopo un mese si scatenò sulle nostre montagne la furia nemica; si parlava di 20.000 uomini armati a tutto punto e pronti ad
ogni azione per riportare la situazione in loro mano.

E si ricominciò la battaglia e si rividero lunghe file di umanità formate di vecchi, donne e bambini che tentavano di porsi in salvo nei villaggi delle nostre gloriose montagne alla ricerca un tozzo di pane per sfamarsi e di un giaciglio di foglie per riposare.

Il terribile rastrellamento durò molti giorni ed io ricordo che sino all’ultima possibilità di resistenza, assieme ad altri, rimasi a proteggere l’esodo della popolazione per cercare di fermare, sino all’ultima speranza, la furia dei nazifascisti.

E poi incominciò la lunga, guardinga, faticosa schermaglia con le asperità del terreno, i macchioni, i cespugli, la presenza del nemico, per sottrarmi alla morte ed alla resa che per noi significava morte certa.
E le notizie si incrociavano e tutti chiedevano e le nostre famiglie tribolate, in cerca di salvezza, senza conoscere la nostra sorte, vagavano con nello sguardo la stessa nostra luce di speranza e di fede, di ideali antifascisti, antinazisti alla ricerca della salvezza, di sottrarsi alla morte per ricominciare la guerriglia, la lotta che ve deva i contadini, gli operai, gli studenti,i professionisti uniti nello stesso sforzo e nelle stesse idee.

E così la resistenza, quella resistenza vissuta un anno prima da pochissimi, era diventata popolare, non più dei primi del Monte Penna, di Tomba, ma della nostra intera popolazione, di tutti i ceti sociali della nostra vallata che, fatte poche eccezioni, soffriva, lottava, moriva per un sublime ideale di pace, di dignità, di libertà.

 

Guai a noi e non fossimo riusciti a creare questi slanci di spontanea solidarietà; in talune circostanze sarebbe bastate la delazione per mandare a sicura morte centinaia di giovani, di patrioti di simpatizzanti.

La furia nemica non ottenne il risultato sperato e la guerriglia ricominciò più forte e più organizzata di prima collaudata dalla morte e dal sovrumano sacrificio.