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Listener3Da Lucia Tagliavini
AL FARNESE “CARNEVALE ANNI 50”
Si sentiva nell’aria profumo di chiacchiere, di frittelle di castagnaccio, di grandi preparativi per una festa che entusiasma ancor oggi grandi e piccini. Nei giorni che precedevano il Carnevale, a casa, era un brulicare di gente, di stoffe, di colori….I costumi che dovevamo indossare in tutta segretezza il giorno del Veglione al Teatro Farnese, erano frutto della creatività del papà che ogni anno si inventava qualcosa di nuovo per meravigliare chi gli stava vicino, ma in particolare ero io che vedevo in lui la persona speciale che era in qualsiasi occasione si trovasse.

Eccolo dunque mettere a segno tutta la sua dote creativa: in casa al caldo nella grande cucina sfornava disegni, modelli di maschere,numerosi schizzi…sul tavolo sparse, riviste ritraenti costumi da scegliere per far indossare a me e a mia sorella….ma poi…non contento spesso lasciava che la creatività facesse il suo ingresso, su quel tavolo di marmo bianco. Questo era un rito che si ripeteva ogni anno, si iniziava già dopo le feste natalizie quando per il freddo ,raramente si poteva uscire di casa e allora si parlava di carnevale e si progettava la festa di tutto il paese e, qualche volta si arrivava a festeggiare anche fino a Bedonia, un paese dove il papà era molto conosciuto . Quando eravamo vicini alla festa, la precedevano le tante visite dai giornalai del paese: vicino a noi c’era Bernardi che spesso ci recapitava a domicilio giornali per tutta la famiglia: in prima linea il quotidiano, poi altri tra cui non mancavano riviste di moda e dispense di arte e storia, da me e dal papà molto gettonate. Quando, però, si trovava in paese per i suoi traffici di lavoro, si recava da Bonini, il giornalaio nei pressi del Teatro Farnese: ci perdeva le serate e arrivava a casa sempre piuttosto tardi, per noi che lo aspettavamo per la cena. Anche qui, faceva bottino di carta stampata…..a gennaio, quando il carnevale era alle porte, volgeva però la sua attenzione, solo sulle varie maschere che trovava riprodotte in quei giornali;forse per ispirarsi per i suoi carri, che faceva sfilare per le vie del paese durante quei giorni, forse per non essere impreparato quando dal paese, certo maestro Delchiappo ,lo sarebbe venuto a trovare per parlare di corsi mascherati… e così sfogliando, sfogliando qualche idea geniale balenava in lui anche per i nostri costumi. Ma, spesso non c’era rivista che teneva, la sua creatività aveva sempre il sopravvento e cosi ci faceva partecipare alla festa con le cose più stravaganti. Avevo sei anni quando per un veglioncino, s’inventò un costume che rappresentava la dea della fortuna e allora anche lui fece la sua parte in quel vestito e non solo chi poi lo cucì. Una gonna a teli dove venivano raffigurate le schedine del totocalcio, rappresentate da lui con una precisione che non aveva uguali, sembravano stampate, e un bel diadema in testa con un bel tredici tutto argentato. Ma un’ attenzione particolare era riservata a mia sorella, ricordo ancora un bel domino in bianco e nero, dove per fare i bottoni del mantello che avvolgeva il vestito erano state usate due pedine originali del mio gioco del domino in legno…a me questa cosa non piaceva affatto…per me che mi tenevo le mie cose gelosamente custodite, vedere che questi due pezzetti del mio gioco erano andati a far sfoggio ,per di più bucati per far passare un cordoncino, nel vestito da maschera di mia sorella, non era proprio il massimo…L’anno successivo ecco mia sorella fare ingresso a Teatro con un bel costume da Arlecchina..e qui il lavoro è stato tanto: non c’era a quei tempi quella bella stoffa multicolore a rombi che i negozi oggi espongono proprio in occasione di questa festa e allora ecco le sarte di casa cucire tanti pezzetti di stoffa colorate, assemblarne con maestria i colori…. E voilà: il costume tutto losanghe era pronto: mancava solo una parrucca..ma per questo c’era la zia che da Venezia dove abitava ,lavorava per noi: in men che non si dica ecco: realizzata nella stoppa ,una bella parrucca settecentesca.. e d il gioco era compiuto: tutto era pronto per andare a ballare. Quel che però fece più meravigliare il pubblico dei veglioni, fu l’abito delle quattro stagioni. Probabilmente Il papà che era appassionato di musica classica, si era ispirato a Vivaldi:peccato che allora non c’erano ancora foto a colori perché l’avrebbe meritata tutta una bella foto.. una vera opera d’arte. Era stato interamente dipinto a mano da lui: era una meraviglia!!! Il “teatro” cosi lo sentivo chiamare in casa, in realtà era quello che ancor oggi è il Farnese, si riempiva di luci e di colori e il papà spesso aiutava il Signor Tonelli, un signore dall’aspetto bonario e dall’accento genovese che gestiva quel locale, nell’allestimento di quella sala che per l’occasione si trasformava in sala da ballo; insomma la sua intraprendenza non aveva uguali… ma …diciamolo: anche tanta buona volontà e il desiderio di fare, fare, fare per il suo paese .Le sarte: una abitava davanti al Baracchino di Valerio,era la sarta di mia sorella. Si chiamava Maria e siccome nessuno doveva conoscere il nostro costume,
veniva invitata in casa per confezionarlo .Attigua all’ufficio della mamma e allo studio da architetto del papà,
era stata ricavata una bella stanza, poi divenuta la mia cameretta-
studio,
ed era qui che la sarta Maria lavorava per mettere insieme il costume segreto che poi veniva sfoggiato al veglione di carnevale. La mia invece era la Marietta ,ma i miei ,non erano poi tanto segreti anche perché tanto non mi piaceva coprirmi il volto con le maschere che non ho mai sopportato…però…mi piaceva molto indossare i costumi..
Fu così che un bel giorno mi ritrovai sul carro di Biancaneve e i settenani,
vicina ad un enorme fungo di cartapesta fatto dal papà che simbolicamente doveva rappresentare la casetta dei nani del bosco, vestita con un caratteristico costume tipico regionale e al fianco il mio amico Claudio che rappresentava il cacciatore della favola…sapete?
Quello che doveva portare le prove alla regina cattiva della morte di Biancaneve,
ma che poi preso a compassione per la dolce fanciulla,
riuscì a trarre in inganno la regina portandole il cuore di un… capretto?…mah,
forse qualcos’altro… non mi ricordo bene ma mi pare sia così…L’anno successivo mi ritrovai a rappresentare Casanova su di un carro costituito tutto da educande del Collegio delle suore gianelline ,figuriamoci…Ma anche qui ci son capitata per caso:
nel periodo precedente al carnevale mi son trovata in casa di mia zia che, nel frattempo era venuta ad abitare a Borgotaro.
Stava confezionando parrucche con la stoppa per una recita delle suore…in mezzo a tutta quella stoppa e a quelle parrucche, mi sono talmente immedesimata che mi son detta:” anch’io voglio un costume con la parrucca”.Sfogliando ,ho trovato questo principe ottocentesco con infilzati nella spada tanti cuori: non mi sono resa conto di chi potesse rappresentare..ma mi piaceva pensare che anch’io avrei avuto la tanto desiderata parrucca e cosi senza rendermene conto, mi vestii da Casanova e al papà venne il solito lampo di genio e mi volle nel carro di quell’anno, seduta in una poltrona posta su di una scala a dominare dall’alto tutte quelle belle dame ottocentesche reduci da una rappresentazione teatrale presso il loro collegio, non lo avrei mai creduto.. ancora oggi quella foto mi sta un po’ scomoda…comunque….era carnevale …e a carnevale, ogni scherzo…..