Silvano lavorava nella ditta di mio zio Tagliavini ed io lo ricordo ragazzo con tutta la faccia imbiancata dalla polvere che si formava nella lavorazione del marmo. Poi gli anni sono passati e di lui non ho saputo più nulla fino a poco tempo fa quando ha scritto su un guestbook. Con Patrizia siamo riuscite a contattarlo e ci ha raccontato della sua vita, direi avventurosa, che l’ha portato lontano da Borgotaro, abitava verso la fabbrica del cemento. Ha studiato e lavorato sodo, ha girato mezzo mondo ed ha ricoperto un ruolo lavorativo importante. Ora vive a Milano con la famiglia. Ecco queste poche notizie per illustrare meglio la vita da emigrante di un altro sanrocchino.

Luisella

Abitavo vicino alla stazione ferroviaria, a Borgotaro, ed il mio divertimento più grande era vedere arrivare e partire i treni dal ciglio della scarpata che portava al binario ferroviario.
All’inizio del mese di Aprile del 1947, venne a prendermi una zia che abitava a La Spezia per portarmi a Zeri, una frazione di Pontremoli, per i festeggiamenti del secondo anniversario della guerra di Liberazione. Sia lei che mio zio avevano fatto i partigiani da quelle parti.
Mentre aspettavamo il treno, sulla banchina dei binari, c’erano diverse persone in attesa, con delle fotografie in mano.
All’arrivo del treno, mentre vi salivo con mia zia, vedevo queste persone che mostravano le foto a militari che erano sul quel treno; nella mia mente di bambino non riuscivo a capire e li guardavo incuriosito perciò ad un certo punto chiesi alla zia il perché di questo e mi rispose che erano parenti di militari dispersi in Russia o chissà dove, che cercavano informazioni dei loro cari a chi, prigioniero di guerra, tornava a casa.
Il treno partì. Improvvisamente una nuova dimensione, quale meraviglia! Per me tutto era nuovo: salire sul treno per la prima volta, mettere la testa fuori dal finestrino, con mia zia che mi teneva per i calzoni per paura che cadessi…un’emozione indescrivibile! Tutte cose nuove per me: strillavo dalla gioia.
Ed ancora un’altra gioia infinita mi colse quando arrivammo a La Spezia e mi trovai davanti al mare. Il Mare? Era la prima volta. Non sapevo cosa potesse essere il mare e vedendo tutta quell’ acqua chiesi a mia zia cosa fosse e a cosa servisse. Si mise a ridere di cuore e non mi rispose ma dagli scogli del faro del molo Italia (così si chiamava allora, ora non so) si bagnò una mano e mi fece assaggiare l’acqua: era salata e disgustosa!

La mattina del 25 Aprile partimmo per Pontremoli con un mezzo di fortuna arrivammo a Zeri dove c’era ad aspettarci mio zio con diversi ex partigiani. Fu una giornata bellissima e bruttissima nello stesso tempo. Bellissima perchè c’era la banda musicale, qualche banco con cibi vari, festoni e tanta allegria. Bruttissima perchè alla fine del comizio tenuto da mio zio, una persona gli diede una bastonata sulla testa procurandogli una ferita e di conseguenza un forte mal di testa (in una foto di quella ricorrenza, mia zia ha scritto sul retro della stessa: festa cominciata bene e finita male). L’uomo fu preso e portato via dai Carabinieri e con questo tragico risvolto la festa finì. Tornammo a Pontremoli e da lì andammo a La Spezia con mio zio che aveva la testa fasciata e coperta alla meglio con un cappello rimediato chissà dove.
Ritornai a casa, a Borgotaro, dopo un paio di mesi e ripresi ad arrampicarmi sulla cima della scarpata della ferrovia per vedere arrivare e partire i treni.
C’erano sempre persone con fotografie in mano che chiedevano informazioni dei loro cari dispersi in guerra e man mano che passavano i mesi, ce n’erano sempre meno. Non so che cosa possa aver pensato nella mia mente di bambino, ma molto probabilmente avrò creduto che chi non c’era aveva finalmente ritrovato il proprio congiunto.
Per molti di noi bambini, il 1948 fu l’anno dell’inizio della scuola e della Prima Comunione e Cresima (tutto lo stesso giorno) ed anche del pasto di mezzogiorno a base di riso e latte.
Nell’area dove fu costruito l’Istituto magistrale delle Gianelline, c’era allora una fornace in disuso ed in grande locale che serviva da mensa a mezzogiorno, dove ci portavano per mangiare. C’era un grande tavolo a ferro di cavallo, venivamo fatti sedere tutti intorno e poco dopo passavano le suore (non mi ricordo di che ordine) con un enorme pentola da campo nella quale era stato cotto riso e latte: latte condensato stemperato con acqua. Un mestolo di riso e latte nella ciotola di alluminio più un quadrato di marmellata solida con un pezzo di pane. Questo è stato il nostro pranzo giornaliero per settimane, mesi.
Seppi poi, divenuto adulto la provenienza di quello che avevamo mangiato per tanto tempo. Fu grazie agli Stati Uniti d’America che con il piano Marshall (George C. Marshall, Capo di Stato Maggiore delle forze armate U.S.A.dal 1939 al 1945 nonchè premio Nobel per la Pace nel 1953) permise all’Europa, distrutta dalla guerra, di rimettersi in piedi.
Mancava lavoro, la povertà era molto diffusa, le industrie locali non bastavano per dare lavoro a tutti e l’unica possibilità era emigrare: chi nelle Americhe e chi in Europa: in Francia a fare il “fumista” (spazzacamino); in Svizzera a fare il muratore o il manovale ed in Belgio nelle miniere di carbone. Tutti partivano col treno. Ho visto partire molte persone dal ciglio di quella scarpata, aggrappato alla cancellata in cemento. Tutti speravano in una vita migliore: chi è ritornato al paese e chi s’è fermato per sempre nella nuova Patria.
Il ricordo della ciotola di alluminio piena di riso e latte e di quei treni non mi ha più abbandonato. Non sapevo allora, né avrei immaginato che un giorno ne avrei preso uno anch’io.
Era il mese di febbraio del 1961.
Da quel momento il treno mi è stato compagno di vita perché per lavoro ho viaggiato molto. Abito lontano dal Borgo, ma i ricordi sembrano più che mai vicini perché quando si è ragazzi si vive tutto intensamente e nel cuore rimane ogni spazio vissuto, colorato degli stessi sentimenti anche se attutiti dal tempo.
Silvano Ottonari.