Coriandoli

Se quella casa in viale della Libertà 37, un tempo proprietà Tagliavini, potesse parlare, …quante cose avrebbe da raccontare sui Carnevali che si sono susseguiti fra gli ultimi anni cinquanta ed i primi del ‘sessanta’!

Ricordo una cucina piena di luce e, nell’angolo più nascosto i fornelli ed il lavandino che come allora usava, erano in muratura. Fuori imperversava quasi sempre la neve in quei periodi e sul tavolo di cucina una grande quantità di giornali aspettavano di essere portati giù in laboratorio: Lui lo scultore Aldo Tagliavini, era là ai fornelli, alle prese con un pentolone d’acqua, farina e amido, faceva la colla che, con i giornali si sarebbe trasformata in cartapesta per creare mascheroni e scene per i carri mascherati.

Ricordo, con la stessa curiosità di allora, due enormi personaggi su un carro, due opere scultoree, fatte con quella cartapesta preparata da papà. Erano Sandrone e la Polonia (mai sentiti nominare prima e mille domande mi passavano per la testa …) ma poi ho capito che era un modo allegorico ed ironico di rappresentare la vita di allora, quando la moglie, in casa attendeva il ritorno dall’osteria del marito ubriaco, nascosta dietro la porta con la scopa in mano per picchiarlo di santa ragione.

All’interno di queste enormi maschere, vi erano certi meccanismi azionati da più persone nascoste all’interno che creavano dei movimenti (la Polonia alzava un grosso bastone e Sandrone, colpito, chinava la schiena ) per dare vita alle maschere.

Durante un altro Carnevale furono le Suore dell’asilo del paese a chiedere a papà, sempre entusiasta e disponibile, di fare un carro con i personaggi della favola di Biancaneve. Ed ecco ancora , in cucina giornali a brandelli e , sul fuoco, il pentolone della colla per fare cartapesta con cui creare, nel laboratorio, un enorme fungo porcino che rappresentava la casa dei nani e poi vi era una bella scala di legno, non a pioli, ma proprio come quelle degli chalet di montagna, su cui sedevano comodamente Biancaneve e il Principe e alcuni dei sette nani, mentre altri facevano capolino da finestrine intagliate nel fungo.

I carri venivano trainati dai cavalli dei “cassonieri”, quasi tutte figure indimenticabili (ricordate Biolzi, Gasparini, e tanti altri ) giravano per le vie del paese tra ali di folla (non esagero!).

Oltre le sfilate dei carri in quegli anni erano famosi i veglioni e i veglioncini nella splendida sala del Teatro Farnese, allora ed oggi vanto del paese.

Subito dopo il periodo natalizio, in quella incominciava una febbrile ricerca di idee per creare dei costumi originali per andare in maschera a ballare. Mi ricordo quante ragazze mio padre riusciva a vestire e a truccare in quelle sere di giovedì grasso: noi eravamo due sorelle e quindi la casa era frequentata sempre da tante ragazze. Ma badate, non erano costumi da sabbioni, ma ne uscivano vere e proprie maschere eleganti. Così in gruppo uscivamo nella notte e …..quello che si provava sotto la cortese e sicura copertura della maschera, è dato da capire solo alle persone di una certa età ! Invece per andare al veglione gli abiti erano fatti confezionare dalle sarte ed io ricordo con grande affetto la sarta Maria che purtroppo è venuta a mancare poco tempo fa ed abitava nella casa di Graziano.

Fra i vestiti più originali ideati da mio papà : il vestito delle stagioni dipinto da lui (esiste ancora); il vestito con i segni dello zodiaco, intagliati sempre da lui su pannolenci bianco applicati su un costume di velluto azzurro. L’abito del totocalcio : clichè di schedine autentiche, ingrandite e cucite come una gonna, con seta dello stesso colore delle schedine.

I ricordi sono come coriandoli colorati che rallegrano la mente e sta a noi non lasciarli cadere nella polvere e spazzarli via con la nostra noncuranza e disattenzione.

Immagini.

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