Esperienza di Vita nel Quartiere San Rocco Luisella Bosi
6 Aprile 2015 da valerio

L’occasione   di  questo  giornale,  sveglia in me il desiderio di   raccontare quella che e stata la mia esperienza di vita nel quartiere di S.Rocco .ed in questo modo rivivo i tanti momenti quotidiani trascorsi nella .casa dei miei zii Aldo e Gina Tagliavini. Come ho gia avuto modo di scrivere, insieme a
loro e alle mie cugine, Patrizia e Lucia mi sono sentita veramente parte di questa Comunita. Nella mia mente si sono fissate forme, colori e sentimenti di quell’ epoca, quando la vita non aveva il tumulto di oggi e tutto accadeva sotto il giusto sole cosi come erano regolari le stagioni. Ecco quindi uno stralcio del mio diario interiore anche se un po’  sfocato a causa   dei tanti anni ormai passati da allora.
DITTA C. TAGLIAVINI di ALDO TAGLIAVINI Era l’anno 1955.
Si entrava dal cancellone, che ancora esiste, su Via della Liberta di fronte a
casa Necchi e subito apparivano grandi tubi di cemento, talmente grandi che noi bambini ne facevamo addirittura rifugi o nascondigli per i nostri giochi. Intorno, mucchi di sabbia fine e piu grossa fino ad arrivare ai sassolini. Percorrendo la stradina o vialetto o che dir si voglia, ombreggiato dal lato della Via suddetta, da alti alberi detti “del Paradiso”  che emanavano un “profumo”  poco  accattivante,  ma  che  qualificavano  il  momento  delle vacanze estive,  si arrivava a contatto con la vera realta dell’ Azienda: sulla destra la casa padronale che ospitava anche I’ufficio, di fronte i capannoni per la lavorazione del marmo e suoi derivati e la “baracca” … che non era altro che un deposito di materiali che aveva un fascino particolare  perche in tutto somigliante ad una casa in miniatura,. bassa ad un unico piano, con porte  e finestre e il pavimento  intemo  piastrellato. Meta  dei giochi piu femminili e domestici che non quelli   <lei  tubi perche qui si portavano le bambole, i  tegamini  e quant'  altro fosse del quotidiano. Quattro parti di terreno, antistante, formavano le aiuole rettangolari  dove c 'erano cespugli di rose bianche e alberi da frutta e, tutto questo potenziava la mia fantasia di ragazzina.  Ricordo  anche  come ci  fossero tanti  alberi  di  ciliegie, preda ambita di tanti ragazzi del quartiere che non aspettavano nemmeno la notte per fame man bassa. Andando con la mente a quei giorni escono alcune figure caratteristiche di coloro che lavoravano per mio zio: gia entrando dal cancello e andando verso i fabbricati atti al lavoro dell'azienda, si era accolti dal rumore delle macchine per lavorare il marmo, ma su tutto il possibile rumore   sovrastava   una   voce   forte:   era   Tamagna   che   cantava   in continuazione a squarciagola all'unisono con la levigatrice che manovrava e questa sembrava darsi la voce con gli altri macchinari dai "suoni" particolari come quello stridente che veniva dal taglio del marmo. Con lui, anche se ora
non so bene  mettere  a fuoco  le loro prerogative  e i loro visi c 'erano  Mario Ruggeri,  Nino  D' Ambros,Valerio   Brugnoli,   Giovanni  Spagnoli,  Levanti  e Giovannone  soprannominato  "polenta  e fichi" poi Silvano Ottonari,  quasi un ragazzo,  con gli occhi  blu  ed infine  "Corea"  cioe Luciano  Ruggeri.   Forse qualcun  altro  che  non  so  ora  ricordare.   I  capannoni  che  li  accoglievano erano polverosi  e gli operai  lo stesso, giovani  o vecchi  che fossero  avevano tutti lo stesso co lore, compresa  la Fidalma,  dall' aria energica, ma col sorriso dolce   e  triste;   con   le   altre   donne,   Pasqualina,    Anna   Piscina,   Lisetta Pattonieri,  Rosetta  Pescatori,  Luisa  Delnevo  e forse  chissa  chi, era  addetta alle presse  delle  mattonelle  di graniglia che mi affascinavano perche simili a  dei mosaici  astratti dai  colori  spesso madreperlacei.  Poi  c'era  Renato Benci, uno dei piu anziani e Gigino "Cavanino" che in realta, di cognome si chiamava Previ ed abitava con la moglie Rina, nelle casette basse a lato del cortile della fabbrica. Con ii passo cadenzato e lento, percorreva ii breve tratto dal posto di lavoro alla sua abitazione, con l'aria di non arrivarci mai piu,  dove sulla porta  I'aspettava  la moglie  che,  come figura,  se pur  di proporzioni un po'  piu robuste, mi ricordava molto l'Olivia  di Braccio di ferro. Nelle  stesse casette, abitavano anche i Barusi: Ugo  e la Rina  sua
moglie, piccoletta e rotonda, con i figli, Adele che e andata poi sposa al "
Fornaretto"  e Mario diventato ingegnere.Un mondo chiuso in un cortile,
circoscritto tra  il Tarodine e Via della Liberta, custodito dalla forma un po'piramidale del monte Cavanna ecol tempo scandito dal rumore del treno che passava sul ponte di ferro e  dalla sirena a mezzogiomo e a fine lavoro la sera, del cementificio della ditta Milanese & Azzi. Al suo suono lacerante faceva eco immancabilmente, cercando di imitarla, il cagnetto maltese di casa, Baby. In certe sere d' estate pero, il cortile si animava perche gli zii organizzavano  una  festa per  i  loro operai  forse per  il buon  fine  di  un particolare ed importante lavoro: grandi piatti di salumi e bevande e poi … naturalmente la musica dove ii canto di Tamagna spiccava. Noi ragazzine ci lustravamo lavandoci gambe e braccia impolverate, nella vasca di cemento vicino all' ingresso di casa, con I'ansia di affrontare nel migliore dei modi, la lunga serata.
Ma dalla fabbrica degli zii non uscivano solamente mattonelle o soglie di marmo, perche lo zio Aldo era un artista, e in una parte di un capannone c' era una vasca in cui veniva conservata della creta che gli serviva anche per modellare e creare forme: quante di queste ancora possono essere viste nei giardini di Borgotaro e dintomi !   Dai tavolini e i sedili a forma di  fungo  al putto sulla tartaruga per le fontane, alle pigne che venivano messe a capo delle balaustrate o sui pilastri dei cancelli,   nonche particolari monumenti
funerari.
Mio  zio  Aldo  era  coadiuvato   nell 'Impresa   dalla  zia  Gina,  sua  moglie  e sorella  di mia  mamma;  tutti  e due  di provenienza   colomese  non  si erano lasciati  intaccare  dall' idioma  locale al punto  che il loro parlare  italiano  o le rare  frasi  in dialetto  avevano  l' accento  della  bassa  come  se mai  si fossero staccati		dal  paese   di  origine.  Mia  zia  conduceva   l 'ufficio   e  lo  zio  era impegnato  nella parte piu pratica e materiale  nel vero senso della parola, ma secondo	 me  con  una  certa  sofferenza   perche   essendo  nato  artista  forse avrebbe  desiderata  usare in altro modo il proprio  talento.   Questo  l'ho  colto in  lui  gia  dai  primi  tempi  della  mia  permanenza   nella  sua  casa,  perche anch'io  avevo la su stessa   facilita nel fermare  le forme della vita attraverso il disegno e cio che per lui pero si traduceva  in scultura per me era in pittura. Ero piccola  eppure  lui mi considerava,  in un certo senso si sentiva vicino  al mio  essere  e quando  c' era  qualcosa  da  condividere  mi  chiamava  dicendo una frase che non so dimenticare:  "vieni  che noi siamo dell' arte"  .  Correvo curiosa  e una  volta  era un  segno,  un'altra  volta  una  forma,  ma  spesso  un progetto  di una casa che gli era stato commissionato,   abbozzato  sulla carta. Lo zio Aldo era un artista, come si usa dire oggi " a trecentosessanta   gradi". Disegno,  scultura  e architettura  per lui non  avevano  segreti.  Dalio  schizzo sulla  carta  in  poi  entravo  in hallo  io  con  sommo  gusto  e  piacere  perche fresca	di  nozioni   scolastiche   non  avevo   alcuna   difficolta   a  far  correre squadra,  riga e tiralinee  con I'inchiostro  di china. Mi sentivo  bene in questi
momenti,  appagata  al punto che un certo giomo mi sono sentita autorizzata  a
dare ulteriore  vita alle sue sculture  in marmo  bianco  di Carrara  dipingendo ad  acquerello   occhi  azzurri  e  bocche  rosse  a  due  figure  femminili.Quel giomo  gli occhi   azzurri  dello  zio sono  diventati  neri!   Nonostante   le sue mani indurite  dal lavoro  sapeva abbozzare  in. modo veloce  e sicuro: vedeva le  forme  ancor  prim a  di  fermarle   sulla  carta  con  vera  genialita,  La  sua Azienda  ha dato lavoro a tante persone  accolte  con cordialita  e con rapporti di  stima   reciproci.   La   C  puntata   che   sta  nell'intestazione     della   Ditta
Tagliavini  e I'iniziale  del nome  del padre  di mio zio, Casimiro  che appunto
aveva iniziato I'attivita  che so protratta  fino agli ultimi tempi degli anni '90. Questo   e,  a  grandi   linee,  cio  che  maggiormente   ricordo   della  vita  nel
contesto  dell'attivita   lavorativa  della  DITTA    C. TAGLIAVINI   di ALDO TAGLIA VINI    dove   stavo    soprattutto    in   estate    durante    le   vacanze scolastiche,  ricordo forse condizionato  in senso emozionale,  percio visto con un' ottica particolare.  Certamente  pero, qualcuno  potra arrivare a completare la mia visione  e a comporre  con piu sicurezza  ii senso di quel tipo di lavoro, in quei giomi, di mezzo secolo fa.
