Le notizie che riporto sono prese da autorevoli fonti come l’Emmanueli, Dall’Olio, il prof. Domenico Ponzini , l’indimenticato don Elio Sidoli, e da Laerzio.

Immagini.

Sembra che sia sorta nel 1542, ad opera del maestro comacino Martino da Lugano che in questo periodo era impegnato a fortificare il castello di Borgotaro.
L’Emmanueli nel descrivere le chiese di Borgotaro, cita la Chiesa in queste righe: i frati Agostiniani avevano chiesa e monastero nel sobborgo di San Rocco, sulla destro del taro, cui si accede mediante l’antico ponte che congiunge quivi le due sponde del torrente e che, se fosse così bello e grande com’è solido e forte, darebbe al paese un ornamento uguale alla utilità che gli arreca da tanti secoli.
E’ una chiesa ad una sola navata, ampia e spaziosa e la facciata in stile barocco si avvicina a quella della Annunziata di Pontremoli, ugualmente annessa ad un convento agostiniano e attribuita allo stesso Martino da Lugano.
Aveva un campanile, come si può vedere da una tela dello Spolverini che rappresenta il corteo nuziale di Elisabetta Farnese: la torre campanaria era sulla destra e le cronache del tempo annotano che: era di bell’aspetto e reggeva due campane di grossezza mediana.
La Chiesa , nell’opera “ De placentinae urbis origine, successu et laudibus” di Umberto Locati, stampata a Cremona nel 1564 è nominata S:Agostino: può darsi che sia stata dedicata a San Rocco in occasione di una pestilenza: i frati vi rimasero sino al 1769.
I frati recitavano le preghiere prescritte e avevano la lettura a mensa. Nel 1669, mons. Giorgio Barni, recatosi a san Rocco, per la visita, trovò sulla porta i frati che esibirono documenti per cui non volevano consentire la visita al Vescovo, ritenendosi soggetti solo alla loro congregazione. Ma il vescovo asserì che avrebbe visitato chiesa e convento perché secondo altri decreti i frati dovevano essere almeno in dodici, cosa che non era .Infatti i frati erano otto , cinque sacerdoti e tre laici.
Anche nella visita di mons. Gherardo Giandemaria nel 1736, i frati protestarono, ma la visita fu compiuta ugualmente. Questa volta i frati erano cinque . Chiesa e convento avevano poderi e boschi per lascito e molti obblighi di messe. Nel 1774 vi è la visita di mons. Pisani, ma questa volta i frati non c’erano perché il convento era stato chiuso nel 1769 ordine del Ministro Du Tillot ed il custode della chiesa, divenuta ormai oratorio, era don Ermenegildo Platoni ( nato nel 1728 e morto nel 1814). Durante La funzione presieduta da Mons. Alessandro Pisani, con la partecipazione di tutto il clero del Borgo, fu suonato l’organo. L’organo era di otto registri con mantici incastrato nel muro , con cimasa di legno intagliato.
Don Platoni doveva rispondere ad un questionario che trattava anche della storia della chiesa, ma le sue parole sull’argomento furono”l’oratorio è dedicato a san Rocco ed è rifabbricato quasi tutto di nuovo”( dovrebbe essere stato alla fine del seicento).
Altra visita pastorale fu quella di mons. Gregorio Cerati del 1786, ricevuto dal cappellano don Agostino Mariani: segnalati nel coro i sedili eleganti e ben disposti e la sacrestia troppo oscura.
La chiesa invece era ben illuminata, con vari altari: L’altare maggiore con la mensa di una unica, grande pietra e dietro il coro in noce di artistica fattura: Sopra il coro, in una nicchia era la statua di san Rocco .
Gli altri altari erano dedicati alla Beata Vergine della Cintura, a San Tommaso da Villanova, a San Nicola da Tolentino, alla Madonna di Caravaggio, a San Facondo, e alla Natività di Maria.
Nella chiesa vi erano due sepolcri, uno in coro per i frati agostiniani che officiavano la chiesa e l’altro, accanto al presbiterio, per la famiglia Platoni.
La chiesa era detta di forma elegante ed ornata con stucchi: vi erano alcuni dipinti ,così descritti, un quadretto dipinto su legno rappresentante la B.V. con il Bambino, S.Agostino e S. Monica, un quadro rappresentante santa Lucia con cornice in legno, ed uno uguale rappresentante S. Agata.. Nel coro vi era la statua di San Nicola da Tolentino ed un quadro in tela con la processione del santo, senza cornice. Vi era anche un quadro in tela, senza cornice, con S. Nicola, l’Angelo Custode ed il Padre Eterno. E’ nominata anche una statua in marmo della Madonna della cintura, un quadro della nascita di Gesù, un altro con S. Giovanni e san Facondo, uno di san Tommaso di Villanova e uno della Madonna di Caravaggio, probabilmente situati sugli altari a loro dedicati.
Peccato che i frati, non abbiamo mai risposto ai questionari delle visite pastorali, e probabilmente abbiano portato con loro gli archivi nel 1769 quando se ne andarono .Il monastero venne soppresso e la chiesa ridotta ad oratorio alle dipendenze della Chiesa di Sant’Antonino. Dopo la partenza dei frati , per la chiesa di san Rocco incominciò un periodo di grave decadenza che culminò con la chiusura della Chiesa ad opera di Mons. Loschi nel 1827.
Dai primi anni dell’800 fu” abbandonata e deserta” come consta nella relazione del 1803 scritta dal capitano Boccia. per il governatore del ducato Moreau de St. Mary. Nel 1897 con atto dr. Murena, passò di proprietà al Comune.
Abbiamo poche notizie di questo periodo. Nel 1855 fu “spedale dei colerosi”. Per un periodo fu persino adibita a stalla da bestiame. Negli anni della prima guerra mondiale, vi alloggiarono i prigionieri tedeschi: A questo proposito, negli ormai lontani anni 50/60, uno di quei prigionieri tornò a san Rocco per ringraziare, tramite il parroco di allora don Ugo, la popolazione del quartiere che li aveva salva
In quegli anni il quartiere di san Rocco era diventato popoloso per i benefici effetti dell’apertura della linea ferroviaria Parma La Spezia che aveva modificato profondamente l’economia
del quartiere
Fiorirono industrie, aziende artigiane e altri insediamenti produttivi. La popolazione del rione era in sensibile aumento ed in tutti rimaneva il desiderio di riaprire al culto la Chiesa, luogo di ascolto della parola di Dio.
Nel 1923 si formò un comitato che sotto la guida del Vescovo di Piacenza mons. Monzani, riuscì a acquistare la Chiesa ed ad iniziarne i restauri. Il comitato che acquistò la Chiesa era formato da il signor Ceccarelli, il dott. Marchini Camia Francesco e Mons. Squeri che si spese in ogni modo per riuscire nell’’impresa, a cui non tutte le autorità religiose erano favorevoli.
Vi era anche un comitato costituito per raccogliere offerte in campagna sempre per i restauri: Era formato da: Delmaestro Antonio di Frasso, Villa Vittorio del Poggio, Botti Marco di Grifola, Gatti
Giovanni di Frasso,Gatti Giacomo di Frasso, Gatti Antonio della Pieve, Piscina Giuseppe della Pieve, Fratelli Marchini dell’Avventino, terroni Luigi di Grifola, Dellapina Domenico di Cartara, Piscina Lorenzo della Calcinara.
Naturalmente tutte le ditte presenti sul territorio offrirono materiali e l’elenco completo di tutte le varie offerte è conservato nell’archivio del Parroco.
La nota curiosa è che il comitato aveva stabilito che, a chi avesse offerto almeno 1.000 lire, avrebbe avuto il nome scritto su una lapide marmorea da apporsi innanzi alla chiesa.
Alcuni arrivarono ad offrire tra le 1000 e le 3000 lire per lo più ditte e anche alcuni privati.
Dopo incredibili difficoltà e contrarietà ( avete mai fatto parte di qualche comitato pro restauri? E’ un’esperienza incredibile!), nel 1927 la Chiesa fu riaperta al culto, e ciò avvenne con una importante cerimonia presieduta da Mons. Monzani e la statua di San Rocco venne riportata a “casa”, con una solenne processione.
La Chiesa riprendeva pian piano il suo aspetto dignitoso ma gli arredi sacri iniziali non c’erano più, a parte la statua di San Rocco che era ritornata nella sua nicchia, sopra l’altare.
Tutti gli altri erano stati portati nella Chiesa di Sant’Antonino, al momento della chiusura dell’oratorio. Nel 1937 fu donato da una famiglia di emigrati a Londra, l’altare maggiore, in marmo bianco di Carrara , in stile gotico, che fa ancora bella mostra di se.
Il primo altare laterale a sinistra fu donato dalla famiglia dell’Ing. Cesare Cantù e il secondo, quello del Crocifisso, per intenderci fu donato da Mons. Squeri, vero artefice , per me, della riconsacrazione della Chiesa.
Fra le cose di valore che ci sono oggi , possiamo ricordare un grande quadro raffigurante il Crocifisso, copia eccellente di una tela di Guido Reni, in fondo alla chiesa un quadro di Maria Immacolata, tesoro autentico d’arte, come autentico è il tesoro di fede che sempre è stato nel cuore degli abitanti di San Rocco, le 14 tele del Traversi , ed un Crocifisso ligneo molto pregevole.
Meritano un accenno storico le 14 tele della Via Crucis, completamente ed egregiamente restaurate dalla prof. Paola Molinari Caccioli.
Queste tele furono regalate alla Chiesa di San Rocco, dalla Chiesa Parrocchiale di sant’Antonino che peraltro le teneva in un solaio. Sennonché, quando don Ugo le mandò verso la fine degli anni cinquanta alla sovraintendenza per un primo restauro, si scoprì che in fondo all’ultima tela vi era segnato “ Gaspare Traversi dipinse”. Così, all’improvviso si scoprì che si possedeva un autentico tesoro d’arte. Il Traversi dipinse la Via Crucis verso il 1750.
Riportate a casa, don Ugo prima curato poi dal 1964 parroco di san Rocco, non si sentì tranquillo di tenere quel tesoro in chiesa, perché erano anni un po’pericolosi e pregò le Suore Gianelline di custodirli in casa loro, dentro un baule.
Siccome la gente, non tutta ma abbastanza, ha sempre del tempo da perdere e delle inutili chiacchiere da fare, pensò bene di far circolare la voce che il parroco aveva venduto le tele e non so se aggiungeva anche che aveva speso male i soldi. Tutte fandonie, ma don Ugo, pur di non rivelare dove fossero le tele, si lasciò offendere per lungo tempo, e non solo per quello.
Comunque nel periodo che i quadri rimasero esposti in Chiesa, furono inconsapevolmente danneggiati dai ragazzi che aiutavano il parroco nella pulizia della Chiesa. Uno di loro che ora è uno stimato e conosciutissimo medico, mi ha infatti confessato che, con lo stesso strofinaccio unto d’olio, con cui puliva gli arredi di legno, toglieva la polvere sulle preziose tele!
Abbandoniamo per un momento le 14 tele e torniamo ai restauri della Chiesa, perché negli anni cinquanta, il comitato pro restauri, che non era più quello di prima, ma sempre composto di uomini di buona volontà, si attivò per fare il pavimento, che mancava e che è ancora quello che c’è oggi, con quella bella passiera a mosaico, in marmo e graniglia che conduce all’altare e che è opera di Aldo Tagliavini scultore.
Sorge un altro problema, quando la Chiesa diventa parrocchiale, bisogna costruire la casa del parroco, che sino ad allora, non esisteva. Una volta ancora, la popolazione si attiva ed arriva a risolverlo.
Arriviamo agli anni ‘ottanta e la Chiesa è tornata in uno stato di degrado tale che si vocifera che la Curia stia pensando seriamente di chiuderla: non so se è vero, però…..
Così il Comitato pro restauri di turno, di cui anch’io ha fatto e faccio parte, si è messo in moto per “pezzare” tutti i guai, o quanti più possibile. Il presidente del Comitato fu don Ugo, e sotto la sua guida incominciarono i restauri, per primo il rifacimento del tetto. Fummo come al solito molto sfortunati, infatti non so se per incapacità dell’impresa o per sua sfortuna, dopo pochissimo lo dovemmo rifare. A proposito del tetto mi viene in mente un episodio che è giusto riferire perché se in Italia tutti avessero fatto o detto così, probabilmente i soldi sarebbero sempre arrivati nel luogo giusto.
Faccio un passo in dietro: Don Ugo fu trasferito nell’autunno del 1981, quando eravamo nel bel mezzo dei lavori del tetto. Nella primavera del 1982 arrivò don Giuseppe, secondo parroco di san Rocco. Nell’autunno di quell’anno, una violenta alluvione colpì il nostro paese, facendo molti danni e, una persona importante, amica di san Rocco, amministratore pubblico, fece in modo di far destinare dei fondi dell’alluvione, per finanziare il tetto che era completamente da rifare. Quando i tecnici arrivarono, il parroco disse loro che non era stata l’alluvione a distruggere il tetto ma i lavori fatti mali e l’usura del tempo. E li mandò indietro, dicendo di portarli dove effettivamente il danno era stato fatto dall’acqua! io mi arrabbiai molto, ma capii che quella era onestà, con la O maiuscola!
Ormai eravamo nel 1983 e il Comitato lavorava sotto la guida di don GIUSEPPE. Fu fatto il riscaldamento della Chiesa, che non esisteva (povero don Ugo, quanto freddo ha sofferto!), le vetrate decorate, i banchi nuovi. Anche lì vi furono delle polemiche perché sui banchi vecchi vi erano le targhette in ottone con i nomi delle famiglie che li avevano donati in memoria dei loro defunti, e in quelli nuovi no.
Poi fu fatta la spesa dei microfoni perché San Rocco, in quegli anni, per merito di suor Giuseppina, aveva anche un coro che si accompagnava con le chitarre, con grave disappunto di qualcuno che avrebbe preferito un altro tipo di accompagnamento.
Poi fu la volta degli intonaci interni, che vennero eseguiti dalla ditta Triani di Pontremoli e successero due fatti negativi, tanto per cambiare, infatti uno dei decoratori che lavoravano in Chiesa, cadde dall’impalcatura. Fortunatamente non si fece gran male. L’altro episodio fu che, il pittore Triani dipinse sul soffitto della chiesa San Rocco in mezzo agli Angeli, con grande disappunto della sovrintendenza che non voleva nessuna figura e così, ci tagliò…….le sovvenzioni.
Mi dimenticavo di tutto il lavoro delle fognature: Per dir la verità furono fatte un po’ troppo in
economia e, un po’ per il tempo passato, un po’ per i materiali un po’ troppo economici, in questi ultimi anni abbiamo avuto un po’ di guai, se n’è accorto bene don Primo, nostro attuale parroco, che è dovuto ricorrere pesantemente ai ripari! Per concludere i restauri della Chiesa, fu intonacata anche all’esterno.
Poi fu la volta del Convento: anche qui problemi a non finire, persino un muro che non doveva essere rifatto, ha pensato bene di crollare sul più bello ,così altre spese, altre preoccupazioni.
L’arch. Graviani di Piacenza fece i progetti del restauro, e molte furono le imprese che eseguirono i lavori.
A lavori finiti, ci ritrovammo in un cortiletto interno al chiostro dei frati che è un piccolo gioiello.
In estate, a metà agosto, per la festa del santo Patrono, festeggiamo lì, tutte le Associazioni del Volontariato del paese. Qualche volta, a questa cerimonia che facciamo da più di vent’anni, è intervenuto anche qualche nostro Amministratore comunale. Invece per l’occasione, ci incontriamo quasi ogni volta con il nostro amato ex parroco don Gian Piero Franceschini, ora Direttore della Caritas Diocesana di Piacenza, che don Primo invita ogni anno.
Nel ex Convento, sono state ricavate nelle celle del piano terra le aule del catechismo e, al primo piano un grande e bel salone che accoglie attualmente i bambini dell’oratorio e la direzione del Circolo A.N.S.P.I. .
Nell’altro edificio del Convento, a piano terra ci sono due grandi locali, di cui uno serve all’allestimento di pesche e mercatini benefici il cui ricavato è destinato ai restauri della Chiesa, mentre il mercatino di Natale, serve per provvedere alle adozioni a distanza che la Parrocchia ha in Brasile ed in Africa.
Attualmente vi sono importanti restauri in corso, rifacimento dei garage e degli spogliatoi, rifacimento del campetto di calcio, sistemazione della parte superiore del secondo edificio del Convento. Come si vede, non è ancora ora di riposarsi: il Comitato pro restauri deve lavorare ancora molto e spera sempre che anche oggi, come in ogni pagina della storia di questa Chiesa, ci siano ancora uomini di buona volontà, pronti a dare una mano!
Questi sono solo appunti, più che una storia: per chi desidera saperne di più,è disponibile presso la Parrocchia, il volume di Mario Cresci, “ cenni storici sulla Chiesa di San Rocco.”