Continua la pubblicazione della tesi di laurea di Stefania Terroni. Questa parte è dedicata alla viabilità a Borgotaro nella seconda metà dell’800.

 

1.1 Il Territorio
Borgotaro, situato nell’Alta Valtaro a m411 di altitudine ed esteso sulle rive del fiume Taro, è uno dei centri più importanti della provincia di Parma ed il maggiore dell’Appennino Parmense, in quanto ha sempre occupato un posto di rilievo per cultura, tradizione e vicende storiche.
Il suo territorio si estende nell’estremo limite occidentale della regione emiliana e si trova alla congiunzione de tre regioni: Liguria, Toscana, ed Emilia, i cui confini corrono lungo il crinale appenninico che delimita la valle. Per questa sua favorevole posizione geografica, Borgotaro fu, nel passato, zona di transito per mercanti, viaggiatori, pellegrini ed eserciti diretti ai valichi che permettevano un raccordo tra regione padana, Lunigiana e Genovesato.
Non a caso proprio a Borgotaro fu necessario insediare un centro militare ed un tribunale per meglio presidiarlo da traffici illegali e per risolvere le frequenti controversie che ne conseguivano.
Il territorio Valtarese, oltre ad avere una rilevante posizione strategica, è caratteristico per essere circoscritto da monti, i quali costituirono una barriera determinante per la vita e lo sviluppo locale. Questa particolare morfologia e la posizione geografica hanno avuto peso dominante e, a volte, decisivo in ambito operativo e militare sia nell’epoca antica che medioevale e moderna.

 

In questo limitato spazio si ritrovavano le condizioni intrinseche che lo predisponevano ad una particolare organizzazione, il cui fine era la realizzazione di specifiche espressioni, volute e guidate da esigenze belliche difessinve od offensive.

La particolare importanza dell’area Valtarese come regione geomilitare risale all’ epoca delle guerre gotiche; infatti era stata una circoscrizione militare – amministrativa limitanea, di rilievo per la difesa de settore Turris – Lavagna ( Genova ).
Turris, originaria denominazione dell’attuale Borgotaro, fu una “creazione militare bizantina, assunta ad eccezione importanza quale sede di un comando militare e, come tale, capoluogo di tutta la Circoscrizione”.
Anche nei secoli 600,700,800 questo territorio, appartenente al Ducato di Parma, costituiva motiv di lotta da parte del Genovesato e del Granducato di Toscana, Stati che concordarono sempre sul fatto che questa regione dovesse essere priva di vie di comunicazione e proporsi economicamente chiusa, affinché potesse garantire sicurezza a tutti gli Stati confinanti ed esercitare la funzione di “regione cuscinetto”.
La non eccessiva difficoltà dei valichi di congiunzione tra il Parmense e la Lunigiana, la rapidità delle strade che si snodavano tra nuclei abitati, quasi dalla sommità dei monti verso una valle a non grande distanza dal mare, facevano dell’asse Val taro – Val di Magra un percorso alquanto frequentato fin dall’antichità, nonostante l’isolamento militare a cui era assoggettato.
Passava da Borgotaro l’antica via romana che collegava Piacenza con Luni e Lucca attraverso Bardi – Gravago – Borgotaro – Monte Borgallo – Pontremoli: una strada che, dopo gli eserciti romani, vide transitare pellegrini e armati dell’età di mezzo.
Sempre lungo questo asse viario, infatti, si snodava la Romea o Francigena, che, attraverso il Passo di Monte Bardone, punto più elevato del percorso, consentiva do raggiungere Roma o i luoghi d’imbarco ai pellegrini, ai crociati e mercanti, provenienti dalle più lontane regioni del Nord e diretti ai luoghi Santi.

Le numerose abbazie e gli ospizi, presenti lungo la Via Romea, consentivano la sosta durante un viaggio non privo di insidie e pericoli.
Ragioni di sicurezza, motivi politici o impedimenti momentanei davano vita, per periodi più o meno lunghi, ad itinerari alternativi; perciò alla Romea di Monte Bardone si preferiva spesso la strada battuta che saliva al Borgallo e, attraverso Grondola, giungeva a Pontremoli.

L’attraversamento appenninico lungo questo asse rimane determinante per tutta l’età moderna, come attestano le ripetute contese per il controllo dei territori sui quali i passi si aprivano e il sorgere di villaggi, di borghi e di rocche di avvistamento lungo i percorsi.
Insieme alle merci passavano per queste valli eserciti che procuravano spesso effetti devastanti.
L’importanza strategica del territorio era testimoniato dal fatto che continue erano le lotte tra gli abitanti dei due versanti, pontremolese e borgotarese, per lo sfruttamento dei territori, tanto che il Granduca di Toscana e il Duca di Parma dovettero spesso ricorrere all’arbitrato della Serenissima repubblica di Venezia alfine di placare i conflitti di confine3.

In seguito Napoleone Buonaparte decretò la costruzione di una rotabile, la n° 23, che da Sarzana, attraverso il Dipartimento degli Appennini, toccando Aulla, Pontremoli, Montelungo e la Cisa, entrava nel Dipartimento del Taro, giungendo a Fornovo e di qui a Parma.
L’opera, intrapresa nel versante sud tra Pontremoli e la Cisa, fu presto interrotta dal precipitare degli eventi politici.
Tra il 1835ed il 1840 la riprenderà per completarla Maria Luigia, duchessa di Parma, inserendovi anche una deviazione meno efficiente da Berceto per Borgotaro.
La strada della Cisa risultò un’importante via   di collegamento tra la costa Ligure – Tirrenica e l’ampia e ricca area Padano – Lombarda, una strada costruita con tecniche e criteri nuovi rispetto alla vecchia via di Monte Bardone; essa però non influì positivamente nell’area valtarese, la quale al contrario, ne risultò maggiormente isolata.
Nel periodo precedente il 1861 gli Stati Italiani avevano perseguito una politica economica autonoma, basata sulle risorse del proprio territorio, poiché le guerre, le barriere doganali, ma soprattutto la morfologia della Penisola costituirono sempre un ostacolo alla nascita di solidi e frequenti rapporti commerciali e allo sviluppo di una rete ben strutturata di comunicazioni.
Con l’Unità d’Italia il Governo si propose di creare le condizioni atte ad incrementare l’economia e la diffusione di servizi pubblici, indispensabili al progresso civile, era, perciò, importante attuare un organico sistema nazionale di comunicazione e, quindi, programmare l’unificazione del mercato interno.
I primi provvedimenti del Governo mirarono a realizzare i collegamenti viari tra i territori del Regno. Si progettò di costruire nuove strade carreggiabili e ferrate e di sistemare ed ampliare quelle già esistenti, in modo da rendere rapide, efficienti ed utilizzabili anche per eventuali scopi militari.
La volontà di incentivare e razionalizzare tale progetto si scontrò con l’indisponibilità di mezzi finanziari statali, mentre da ogni parte arrivavano numerose richieste d’interventi urgenti.
Al riguardo il deputato Parmense Torrigiani afferma in una sua memoria, scritta nel 1864: “ Sorta l’Italia a grande nazione in breve volgere di mesi, doveva trovare nel suo assetto finanziario la più grave difficoltà. Il bisogno di provvedere ai materiali interessi di una popolazione non più divisa in piccoli gruppi, ma raccolta nel novero di ventidue milioni, doveva esigere spese di gran lunga superiori alle entrate, e creare quella posizione finanziaria la cui gravezza non è dato ad alcuno di disconoscere”. E ancora “Vogliansi perciò moltiplicare le comunicazioni per rendere, quanto possibile, agevole il condursi dall’uno all’altro luogo e facile il trasporto di ogni merce e derrata: in altri termini è necessario un sistema stradale intenso per modo che dai più umili villaggi.

Al riguardo il Senatore Lagasi scrisse. “ lo stato di quasi assoluto isolamento, in cui fino al 1871 vivevano gli abitanti di questa nostra ubertosa valle, ai  venturi parrà un sogno.
Per accedere ai tre grandi centri più vicini, Parma, per la mulattiera fino a Borgotaro e la rotabile da Borgotaro a Berceto e Fornovo, Piacenza per la mulattiera fino a Bettola, Genova per la mulattiera fino a Chiavari, occorreva un paio di giorni. Lo sforzo dei reggitori dei nostri Comuni per spezzare questo cerchio di ferro fu pari al bisogno. Dalle strade attendiamo vita e commercio, ed auguriamo ardentemente la sollecita costruzione della Parma – La Spezia”.

Il territorio, come citava Lagasi, era segnato da una confusa rete di sentieri, tra i quali la  nota mulattiera che collegava Fornovo – Borgotaro – Centocroci, confine ultimo con la provincia Genovese.
Tale mulattiera percorreva la sponda destra del Taro ed era  agibile solo  in alcuni periodi dell’anno, cioè quando il fiume non era in piena. Dopo l’Unità d’Italia essa, per la sua difficile percorribilità, non venne inserita nel programma di ristrutturazione della rete viaria nazionale, nonostante esistesse una legge che dichiarava nazionali tutte le strade che valicano l’Appennino. In sostituzione fu ripristinato il tratto che partiva da Berceto, scendeva al fondovalle, in località detta “ La Costa”, seguiva le sinuose curve del Taro e raggiungeva Borgotaro, proseguiva ancora e si fermava pochi chilometri dopo in direzione di begonia. Questa via, resa carreggiabile intorno al 1862, non agevolò le comunicazioni tra Borgotaro – Fornovo, Parma e tra i rispettivi circondari; perciò non contribuì a creare un impulso economico nella Val Taro.
Diverse furono le cause. La distanza tra Borgotaro e Parma aumentò di 14 chilometri. Per trasferirsi   sia nella Pianura Padana  che in Toscana era necessario salire a Berceto, che si trova a 1000 m sul livello del mare, e riscendere.
Ciò procurava una  perdita considerevole di tempo, un costo in eccesso ed uno spreco di forze di trazione, tanto nel trasporto delle merci quanto in quello passeggeri, reso ancora più grave per la tortuosità del  territorio.
Inoltre,  per l’altezza considerevole dei monti, il tratto era spesso impossibile nella stagione estiva, per i forti venti, e in quella invernale, per accumularsi delle nevi.

Borgotaro e la sua valle furono spesso privati, anche per lunghi periodi, di ogni comunicazione con il resto del Regno. Spesso, per ovviare a questi svantaggi e per convenienza economica, si transitava lungo le sponde del fiume e, a volte, lo si attraversava con tutti i rischi che ne conseguivano.

Il Taro, a quel tempo, aveva una grande portata anche nei mesi di scarsa piovosità, ed, essendo un corso d’acqua di alta montagna, il letto era ricco di massi e di sassi che ostacolavano il passaggio dei carri.
Nelle aree, meglio servite da strade carreggiabili, funzionavano servizi regolari di carrozze e di carriaggi per il trasporto delle merci.
La zona più interessata da corse regolari era il capoluogo parmigiano, da dove si dipartivano diligenze per i centri maggiori fra i quali Collecchio, Fornovo, Berceto, Borgotaro, ma, in generale, per quest’ultimo il trasferimento di persone e di mercanzie era fonte d’oneri imprevisti.
Con una infinita serie di istanze che venivano dai comitati di cittadini, dai Comuni, dai Deputati parmensi, dalle Camere di Commercio e da ogni altra istituzione interessata, ebbe inizio, seppur faticosamente, la svolta delle comunicazioni per Borgotaro e la sua valle.
Si crearono delle commissioni di studio governative che progettarono, oltre alla strada di fondovalle che  da Fornovo doveva  raggiungere i tornanti che scendevano da Berceto ed ovviare anche all’isolamento viario quasi assoluto degli abitanti di Solignano e di Valmozzola, anche la ristrutturazione a tornanti del tratto tra Borgotaro e Pontremoli per il Bratello, già conosciuta come strada battuta del Monte Borgallo e unica alternativa al passo della Cisa. Un altro importante tratto, reso in seguito carreggiabile, fu quello tra Borgotaro e Bedonia con il proseguimento fino a Varese Ligure, attraverso il Passo delle Cento Croci.
Sul versante ligure si aprì un altro valico che collegava Borgotaro – Bedonia – S. Maria del Taro con Chiavari, chiamato in seguito Passo del Bocco.
È curioso ricordare come alla realizzazione di quest’ultimo valico si arrivò non con l’intervento diretto dello Stato o di una amministrazione territoriale, ma attraverso la stipula di una convenzione con la società inglese Borwich – Brlow e Lattimer, concessionaria per lo sfruttamento delle miniere di rame dell’alta Val Taro e delle foreste del Monte Penna.
Questa società si impegnò a costruire la strada su territori demaniali, sostituendosi allo stato, con lo scopo di utilizzarla principalmente per i propri traffici e con l’intento di riscuotere i pedaggi degli utilizzatori, in realtà mai applicati. Tutto ciò a testimonianza di quanto fosse vivo il desiderio di nuove vie di comunicazione.
Proprio in questi anni iniziò a balenare il progetto di costruzione della strada Ferrata Parma – La Spezia che attraversasse queste dimenticate montagne e, di conseguenza, portasse nuove prospettive ad una popolazione che sentiva il profondo desiderio di dare vita ad una economia che fuoriuscisse da ormai troppo antiche barriere viarie e che in qualche modo mettesse fine ad un commercio quasi allo stato primitivo.