Dopo il successo riscosso dal diario di Giuseppe Terroni vi proponiamo un altro stralcio di storia locale. Adelio Bernardi ci racconta, in questo suo diario, i momenti, gli stati d’animo e i ricordi "partigiani". Per praticità divideremo il racconto in più puntate. Buona lettura … 


 Mi chiamo Adelio Bernardi e sono nato a Borgotaro il 25 maggio 1925, attualmente impiegato. Il mio nome di battaglia era “Punteria” sono entrato a far parte della resistenza subito dopo l’8 settembre 1943 e delle formazioni partigiane in montagna il 5.1.1944 all’età di 18 anni.

A quell’epoca ero di leva e da pochi mesi avevo conseguito il diploma di abilitazione magistrale.

Al 25 aprile 1945 ricoprivo il grado di Comandante di Compagnia della 1° Brigata “Berretta”.

Non so se riuscirò a rispondere a tutte le domande del questionario in maniera esauriente ed ordinata, ma cercherò ugualmente di affidare alla penna i miei ricordi “partigiani” e di citare fatti, nomi e date con la speranza che altri amici, attraverso le loro testimonianze, riescano a completare le lacune dei mièi ricordi.

Inizierò con una domanda che spesso ho rivolto onestamente a me stesso: i motivi che mi hanno indotto ad affrontare la vita partigiana e quali sono stati? Antifascismo? Spirito d’avventura? Esuberanza di carattere?  Montagne più vicine a casa mia che non la città e la pianura? Intima ribellione alla dittatura fascista, perchè sono un insofferente alle imposizioni?

Ricordo, ricordo un fatto che forse ha determinato in me una decisione.

Dopo l’8 settembre e dopo una riunione antifascista in casa Angella mentre mi trovavo nel Viale della Stazione di Borgotaro immerso nei miei pensieri ed intento a raggiungere casa mia, ebbi l’occasione di incontrare una compagnia di soldati tedeschi che al canto di un inno (non so quale) e con passo cadenzato calcavano spavaldi, sicuri, de dominatori stranieri il suolo del mio Paese.

Non la curiosità di vedere lo spettacolo militare (piace spesso ai giovani) mi entusiasmò e mi incuriosì, non la distaccata con condiscendenza passò per l’animo mio; ma rabbia fatta d’impotenza, di avversione s’impadronì di me e ricordo che mi sgorgarono lacrime amare e ribelli. 

Non potevo intimamente accettare lo spettacolo e l’idea che quei militari così freddi, staccati, disciplinati fossero i miei, i nostri alleati.

Inconsciamente forse, ma intimamente, da allora io divenni anti fascista, anti nazista, anti militarista. Mi scuso se ho divagato a distanza di vent’anni non ho ancora dimenticato quel mio intimo smarrimento e quella mia ribellione contro le forza opprimente e l’imposizione.

Ecco la mia risposta ella domanda postami! Sono andato in montagna per tutti questi motivi, per uno stato d’animo che di riflesso si era venuto a creare in me giovane studente — ma amico di uomini esperti come Armando Angella, Giusepe e Eugenio Solari, Carlo Grezzi, l’Avv. Sìlva ed altri ancora. Questo mio privilegiato inserimento e rapporto di sincera, leale amicizia, è servito indubbiamente a formarmi, a plasmare i miei concetti, la mia gioventù attraverso gli insegnamenti che avevano, come hanno, un largo fecondo respiro di libertà individuale e collettiva.

Ringrazierò sempre e per tutta la vita questi miei amici e tutti gli altri che mi hanno aiutato a dar corpo ordinato alla mia esuberanza, al mio entusiasmo, ella coscienza del sacrificio ed ella domanda: rifaresti la guerra di liberazione? Io rispondo sì con tutta la mia forza, con tutto il mio nuovo bagaglio di umana esperienze, con tutta la mia volontà, con tutto il mio entusiasmo per contribuire al perfezionamento delle situazioni ancora insolute.
Questo finora da me scritto ritengo possa dare lo spunto di una discussione obiettiva per stabilire e rafforzare maggiormente l’importanza, l’indispensabilità degli atteggiamenti assunti dai primi resistenti, promotori del movimento di insurrezione popolare contro la dittatura fascista, contro il sopruso, contro il regime che per venti anni ha negato al popolo italiano la possibilità di assumere un atteggiamento dignitoso nel consenso delle libere nazioni.

Su disposizione del locale Comitato di Liberazione, essendo io di leva, mi presentai nel novembre 43 al Distretto Militare per stendere l’ordine di fuggire in montagne.
Fu un’attesa spasmodica, insofferente, tale de fermi decidere, dopo un mese, di disertare le file repubblichine anche se mi ospitavano solo per sottrarmi alle condanne a morte in qualità di disertore.

Fu inutile, pensai solo a fuggire e così feci verso il 20 gennaio assieme ad Eugenio Solari (Aldo) ed a Signorini Antonio (Fanfulla), il primo ricercato dai fascisti a Borgotaro ed il secondo con me al Distretto Militare.

Accompagnati de Bonini, autista, vestiti io e Fanfulla da alpini, armati di un mitra con pochi colpi e di una vecchia pistola del nonno di Fanfulla, ci dirigemmo a Bedonia e quindi verso Tomba, un paesino della Val di Ceno ai piedi del Monte Penna per dare vita, assieme a Beccarelli Angelo (Rata), (Mino) ad uno dei primissimi nuclei partigiani in attesa di dare consistente numerica al movimento.

Durante le mia permanenza nelle file della Resistenza ho partecipato a numerosissime azioni, ma citerò i seguenti fatti d’arme fra i più importanti perché, ripeto, non ricordo più perfettamente i nomi e le date di tante altre azioni.

  • S.Maria del Taro
  • S.Stefano d’Aveto
  • Monte Vaccà (o battaglia di Pelosa)
  • Pontolo (attacco alle corriera)
  • Valmozzola
  • Grifola
  • Ponte della Manubiola –
  • Pontremoli (attacco all’Istituto Magistrale, ai Cappuccini)
  • Bratto
  • Ponte di Migneno
  • Attacco i caselli ferroviari (Pontremoli—Guinadi)
  • Borgotaro (azioni isolate e in piccoli gruppi)
  • Respiccio di Fornovo
  • Passaggio del fronte
  • 3 Rastrellamenti (maggio – luglio 44 e gennaio 45), stazione di Borgotaro ecc., ecc., ecc.

Mi scuso se non seguirò cronologicamente un ordine di descrizione e se non citerò i nomi dei feriti e dei morti italiani civili e partigiani e se in qualche descrizione di azione di guerra si parlerà solo del presunto numero dei morii, feriti e prigionieri tedeschi.

Ciò faccio perchè non voglio dimenticare nessuno dei nostri gloriosi caduti e delle nostre vittime e mi affido agli elenchi in possesso dei Comandanti di Brigata — per avere la certezza che nessuno sia dimenticato e nessuno possa correre il rischio di non essere ricordato.

 

Santa Maria Febbraio 1944

Io, Eugenio Solari (Aldo), Signorini Antonio (Fanfulla), Cosimo, Rata, Nino, Pino dopo uno sosta a Tomba, decidiamo di attaccare il presidio di S.Maria per rifornirci di armi e munizioni per poter allargare così la sfera delle nostra azione e magari scendere al piano. Dopo una faticosissima marcia in montagna, con la neve molto alta, con l’assoluta necessità di spostarci sui crinali delle montagne per non farci scorgere e dopo aver predisposto il taglio del filo telefonico per una eventuale ritirata, arrivati a Santa Maria del Taro,
predisponiamo il piano d’attacco.
Io so di essere stato assegnato a coprire le spalle ai compagni da ogni eventuale attacco improvviso. Fanfulla, vestito da alpino, avrebbe dovuto far vidimare la licenza e quindi presentarsi alla porta del la caserma.

Il piano funzionò, la porta venne aperta e quindi richiusa prontamente da un altro milite occorrente, la sparatoria incomincia e forse fu la primo sparatoria organizzata che vedeva di fronte, nelle nostre montagne, partigiani (i ribelli) ed repubblichini.

Cosimo venne ferito ad una gamba e la ritirata attraverso il percorso già praticato diventavo impossibile e si decise quindi (facendo assegnazione sull’isolamento telefonico) di percorrere tutta la strada provinciale, dandoci il cambio nell’aiutare il povero Cosimo a porsi in salvo assieme a noi.

Avevamo ancora le armi ma forse conservavamo, fra tutti, una decina di pallottole. Arrivati alla “Gelana”’ ci fermammo a dormire in una cascina ai piedi del monte Segarino senza sapere naturalmente che di noi (dei ribelli) era corsa la voce in tutta la Valtaro dell’attacco a S. Maria, dello stragrande numero dì morti e di feriti da ambo le parti.

Era corsa lo voce che la resistenza Valtarese muoveva i suoi primi passi e per noi ribelli affamati ed esausti era un invito a continuare lo giusta guerra.

Santo Stefano D’Aveto marzo 1944

Dopo S Maria altri partigiani vennero in montagna con noi e grazie ai collegamenti si parlava di un lancio di armi, viveri e vestiti da parte degli alleati. Tutte le sere ascoltavamo la radio clandestina (ricordo ancora la chiese. di Chiesuola vicino all’Anzola che ere nostra meta preferite per ascoltare dalla radio i messaggi speciali”).
Ricordo i due messaggi speciali “Il corriere di Lione”; voleva informarci di preparare i segnali per il lancio e dovevamo però stare in attesa del messaggio speciale ‘I promessi sposi” per accendere i fuochi ed attendere gli aerei.

Attese snervanti entusiasmo, rammarico, animi depressi e non so quali altri stati d’animo negativi e positivi siano stati oggetto quelle
notti di speranza e di fiducia.

Finalmente il primo lancio, i primi “sten” il primo “plastico” la prima possibilità di darci un assetto militare, con questo la certezza che eravamo ora dei veri leoni imbattibili e avremmo voluto scendere al piano e debellare tutti i fascisti.

Intanto attraverso mille peripezie erano penetrati nella zona del Mon te Penna i sabotatori inviatici del Comando Alleato con incarichi ben precisi. Il loro apparire in concomitanza con il lancio apriva altre prospettive alla nostra guerriglia.

Fummo istruiti sul maneggio delle armi americane e sull’esplosivo. Così in una ventina di uomini ci spingemmo sino a S.Stefano d’Aveto.
Fra questi uomini ricordo ‘Caramatti Cosimo, Pino, Nino.

Attaccammo S. Stefano d’Aveto, bloccammo le entrate, cingemmo d’assedio la caserma dei fascisti che indubbiamente sottovalutarono il nostro potenziale bellico in quanto all’intimazione di resa risposero con un fuoco rabbioso — a mò di sfida.
Gli stessi sembravano tante mitragliatrici.

Le battaglia durò qualche ora ed il plastico pose fine lo scontro a fuoco facendo saltare la caserma. I prigionieri furono subito rilasciati perchè avessero modo di portare la notizia in tutte le vallate che i “ribelli” non temevano più nessuno.

Baldanza giovanile, coscienza di lottare per una giusta causa, entusiasmo erano le basi fondamentali insite nel cuore e nella mente di
ognuno di noi, dei ribelli del Monte Penna.