Si chiude l’appuntamento con i ricordi di Adelio. E’ sempre emozionante per noi, che non abbiamo vissuto la resistenza, leggere di questi momenti. Per non dimenticare…

PONTE DI MIGNEGNO — Marzo1945

Il comando alleato aveva predisposto di far saltare il ponte di Mignegno sulla statale della Cisa onde impedire che i nazisti, ritirandosi dal fronte tirrenico, riuscissero a raggiungere la Val Padana, o meglio, onde frapporre ostacoli naturali alla ritirata.

Entro le colonne del ponte in argomento, i tedeschi avevano già predisposto i fornelli al fine di minare e far esplodere l’opera dopo esser svincolati e sottratti al nemico

Occorreva far saltare prima della ritirata il ponte ed impedire la fuga al nemico facendo quello che non erano riusciti ad ottenere gli aerei alleati.

Incaricato del compito, allestìì una quarantina di uomini e chiesi aiuto alla squadra sabotatori al comando di Luigi Pedrini. Fra quegli uomini ricordo Zucconi Domenico (volpe) del maestro Giovanni (Vecio), Gasperini Giuseppe (Dario), Mantegari (Zio).

C’è da aggiungere che una diecina di mongoli facevano buona guardia di notte e di giorno al nostro obiettivo.
Con circa 2 quintali di esplosivo partimmo verso Mignegno approfittando dell’oscurità della notte dopo aver predisposto il piano d’azione
e le rispettive posizioni.

Il ponte è ai piedi dei torrenti della Cisa nel versante Pontremolese; la caserma dei mongoli dei si trovava e pochi metri dall’obbiettivo;
2 sentinelle facevano continue guardie al ponte stesso. Il piano era il seguente; Pedrini ed una diecina di sabotatori dovevano
portarsi sotto il ponte e collocare l’esplosivo e le micce (l’esplosivo sino ad un’ certa distanza del ponte doveva essere trasportato a dorso di mulo) e quindi nell’ultimo tratto portato a spalle dai sabotatori.

Quanto sopra detto era quindi compito della I squadra.

La II squadra (15 uomini) doveva circondare la caserma dei mongoli;
La III squadra (15 uomini dovevo guardarci il fianco verso lo Cisa ed impedire che fossimo sorpresi nell’azione dal continuo passaggio
di autocolonne militari nazifasciste provenienti dalla Cisa.
Io e Montegari (zio) dovevamo salire sul ponte ed armati di mitragliatori “Sten” muniti di silenziatore tenere a bada i 2 rnongoli di guardia ed alle
prime sensazione di allarme ucciderli e trascinarli nello spazio esistente sul ponte per i salvagente.

Accese le micce Pedrini ci avrebbe avvisati di sganciarci sparando una raffica di mitra.
Tutto procedeva alla perfezione, i partigiani erano appostati, io e lo”zio” eravamo sul ponte ed i sabotatori sotto il ponte nel torrente
intenti a minare l’obbiettivo. –

Un fatto è certo: i mongoli di guardie non reagirono e tutto sembravo ormai prossimo al risultato. –

Ma il nostro udito teso sino allo spasimo avvertì ad un tratto dei rumori. Sì, rumore di motori in marcia, rumore che si avvicinava al ponte.

Era uno questione di vita o di morte. Non potevamo nemmeno permetterci il lusso di fuggire perché avremmo attirato la tensione dei mongoli della caserma e la sparatoria avrebbe-posto in allarme l’autocolonna ed il ponte sarebbe rimasto in piedi.
Non so cosa avremmo pensato, specialmente noi due sul ponte, Certo è che la nostra situazione non era delle più rosee!

Mongoli a destra, nessun riparo, autocolonna che sarebbe entrata in collisione con la II squadra, sabotatori sotto il ponte.

Questa la nostra situazione. E mentre l’autocolonna stava per sopraggiungere ecco, frammista alla sparatoria della II squadra che aveva attaccato i tedeschi, la miracolosa liberatrice raffica di mitra di Pedrini.

La miccia era accesa e noi ci impegnammo a coprire il centinaio di metri di percorso ad una velocità che certo si può immaginare.

Ciò nonostante però non riuscimmo a guadagnare la scarpata ove erano appostati i nostri e, tagliati fuori, trovammo rifugio in mezzo agli alberi sottostanti la strada della Cisa e potemmo ammirare il risultato della esplosione.

I due tronconi spezzati dalla carica di esplosivo si innalzarono e ricaddero frantumati nel torrente. Il ponte non esisteva più, il nemico era stato ancora una volta sconfitto dal coraggio, dal nostro sangue freddo.

Si racconta inoltre che i tedeschi fucilarono i mongoli che erano di presidio. Io e lo “zio” fummo dati dispersi e dopo qualche giorno
e mille altri accorgimenti per attraversare la strada della Cisa, occupata da potenti forze nazifasciste, rientrammo alla base accolti
con l’entusiasmo che si riserva ai redivivi. Avemmo, noi due, anche la soddisfazione di scorgere un ricognitore alleato che sen’ altro prendeva nota del sabotaggio compiuto dai patrioti italiani.

E venne la Pasqua del 1945 e con la primavera nuove speranze per volgere a nostro favore la guerra. Erano veramente terminati i periodi tragici? Era veramente l’ultimo balzo, l’ultimo attacco e poi la fine del le ostilità? Sembrava, ma non era assolutamente vero.

Infatti gli ulti mi mesi della guerra partigiana devono essere ricordati fra i più impegnativi, fra i più delicati e pi drammatici perchè lo smacco subito dai nazifascisti aveva anche il potere di rendere ancora più crudele la loro reazione.

E così vennero in forza anche nel paesino di Bratto e fecero man bassa ed accerchiato e messo a ferro e fuoco il paese presero ostaggi fra la inerte popolazione.

Ed io ed una trentina di altri, informati, partimmo da Rovinaglia e dopo circa 3 ore di sparatoria, mettemmo in fuga il nemico
e liberammo gli ostaggi. Non so quale fu il numero dei morti e dei feriti sofferti dal nemico. Certamente la lezione impartita fu molto dura.

 

Caselli ferroviari (Pontremoli—Guinardi)

Era giunto il momento di occupare la ferrovia e di salvare la galleria del Borgallo (Km 8 circa) prima che venisse sabotata del nemico
e la I brigata “Beretta” si mosse al completo.
Vennero espugnati dopo qualche ora di fuoco i primi 2 caselli ferroviari, mentre il casello n. 70 vicino alla mia posizione resisteva strenuamente.

Pasato il comando della compagnia, mi spinsi nella zona di attacco ed incontrai subito gli uomini di Fanfulla e Falco.
Per avvicinarci all’obbiettivo era necessario superare un campo minato, confidando che i cartelli fossero stati messi a bella posta dei tedeschi il formidabile “Fanfulla”, io,Falco e qualche attaccammo decisiad espugnare il casello, mentre gli uomini rimasti in posizione sovrastante avrebbero avuto il compito di proteggerci.

Così venne fatto, il bzouka, le bombe a mano, distrussero in parte il casello e con i mitra, giunti sulle macerie, ponemmo fine
Alla resistenza nemica. Ci furono morti e prigionieri.

Proseguimmo per dare man forte e Gino Caccchioli (vice comandante della Divisione “Beretta”, ma non ce ne fu bisogno perché Gino,
uomo di un coraggio non comune, pur essendo stato ferito di striscio alla testa, aveva già provveduto e porre fine alle resistenza tedesca
e così raggiunto l’ultimo vicino a Guinadi salvammo anche la galleria del Borgallo ove, come riferisce il Battaglia nelle sue “Storia della resistenza italiana” venne fatto il seguente bottino:

– 2 treni carichi di munizioni;
– 900 quintali di esplosivo
– 3200 mine, ecc. ecc.

Borgotro intanto veniva definitivamente liberato e così cadeva in nostre mani uno dei presidi pii forti dei nazifasciti dell’Appennino Parmense –

La Divisione “ Beretta” al completo si spostò alla Cervara quindi sulle montagne che circondano Pontremoli.
Io con la compagnia ed assieme al comando di Divisione mi spostai al paese di Vignola pronti ad attaccare e ad occupare Pontremoli.

I carri armati nemici ed un forte gruppo tedesco ci impediva però lo slancio definitivo ed occorreva, per entrare in azione, l’artiglieria
alleata, attestata verso Villafranca ad una ventina di chilometri dal— la nostra posizione.

Così io, Angelini (Mazzini), Vinci, fummo scelti per attraversare il fronte e portare agli alleati l’esatta indicazione delle forze nemiche e delle nostre Brigate.

Angelini parlava l’inglese e sarebbe stato in grado di indicare così agli alleati le diverse posizioni strategiche.
La lunga, forse ultima marcia ci attendeva. I pericoli vennero da noi brillantemente superati e dopo ore di faticoso cammino, di guardinghe attenzioni,
prendemmo contatto con gli alleati ricevuti dal comandante come i portatori della vittoria ormai immediata. -.

Nel frattempo le nostre forze approffitando dello sbandamento del nemico erano entrate in Pontremoli e noi 3 al fianco del comandante americano
fieri e gioiosi facemmo la nostra entrata in Pontremoli accolti dall’entusiasmo della popolazione e da mille abbracci.

Per noi la lotta armata era terminata e si era conclusa con il totale sfacelo dei nazifascìsti in precipitosa fuga verso la pianure pedana con l’epilogo a tutti conosciuto.

E così terminata la mia relazione e con questa la mia carente,disordinata descrizione dei fatti d’arme e degli avvenimenti,
ma e non solo per rispondere alle domande del questionario vorrei tacere l’ultimo punto con l’imbarazzo di chi forse non saprà trovare gli argomenti idonei a rendere chiaro il proprio pensiero.

Mi riferisco alla domanda posta per le ricompense ai valor militare e civile. Si mi è stato riferito che mi è stata. fetta la proposte d medaglia d’argento al valor militare; ma io non merito alcuna ricompensa in quanto la mia grande ricompensa mi è stata fetta: la vita.

E quindi non parliamo di me o di quelli che hanno avuto la stessa ricompensa, ma lasciatemi esprimere il mio pensiero su di un altro aspetto che merita tutto il nostro pensiero ed il nostro raccoglimento. Parlo dei nostri cari caduti, delle privazioni sofferte da tutte la popolazione delle nostre montagne, parlo dei sacrifici, dei feriti le tribolazioni, dell’eroismo, della capacità di sopportazione dimostrati dall’ intera nostra popolazione che schive di atteggiamenti di forma pronte a tutto osare per mantenere la libertà così duramente avuta merita, merita una ricompensa per tutte le vallate, in nome di tutti gli eroismi silenziosi e taciuti dai nostri patrioti, dei contadini, degli operai, dei professionisti, delle madri e dei padri.

Perchè non fare nulla? Perchè non prendere iniziative alcune? Perché non dare una ricompensa al valore a tutta la vallata.

Infine vorrei trovarvi tutti d’accordo per continuare l’azione intrapresa de me, Angella, Carletto, il Sindaco, il Professore don Cavalli,
l’On. Buzzi al fine di ottenere per i disoccupati, gli operai, li impiegati, nuova possibilità di lavoro sollecitando il Governo ad aprire nelle nostre vallate stabilimenti,
attività industriali e commerciali, per poter dare il pane chi ne è sprovvisto e richiamare i figli della nostra montagna in Patria.

Qualcuno mi dirà: è solo teoria, è solo poesia! No! Tutti noi abbiamo dimostrato l’unione nel sacrificio, nella lotta, nella pratica.

Perchè non dimostrare la stessa unione e la stessa forza raggiungere risultati concreti anche in pace e non solo in guerra?

Perchè non tacitare con la prova di umana solidarietà la voce che delle tombe dei nostri caduti ci arriva a monito ad agire per il bene della collettività?

Occorre farlo e poi magari con l’animo sereno, con la soddisfazione del dovere compiuto, volgere lo sguardo alle gloriose montagne ed essere
veramente d’accordo con la bella,significativa canzone dei tempi del guerriglia:

“.Quando al figlio tuo racconterai quello che avvenne lassù, nelle tue vene sentirai tutta la tua gioventù”.

Adelio Bernardi
“Punteria”