Ricordi sparsi ….

E’ arrivato Luglio stiamo per andare in vacanza e cosa c’e di meglio se non leggere qualche ricordo che il nostro amico Silvano ci ha fatto avere…

 

In quel tempo era uso nel mese di maggio recitare il rosario nella cappella sita lungo la strada del fondovalle vicino al cavalcavia della ferrovia. Le persone che recitavano il rosario erano molte, tutte donne e venivano dalle case attorno alla stazione e dovevano portarsi i sedioli e sgabelli da casa perchè le due panche della cappella non erano sufficienti per tutti. Si formava cosi un croccolo di persone che occupavano parte della strada padronale che portava al podere e parte della strada provinciale. La strada non era asfaltata. Quei rari automezzi che passavano sollevavano un polverone infernale. Qualche autista, sapendo che c’era gente a recitare il rosario, rallentava all’approssimarsi della cappella per sollevare meno polvere possibile, altri viceversa non si curavano  della polvere tiravano dritto. Qualche persona indirizzava un’ accidente  all’indirizzo dell’autista ma poi si riprendeva a dir rosario.

Si iniziava verso le 21.00 e il postulante era una mia zia. Anche noi ragazzi assistevano al rosario ma eravamo più interessati ad altre cose che sentire le orazioni. La nostra principale attività era tener d’occhio il proprietario del podere nel cui giardino aveva una magnifica pianta di ciliege molto precoci nel maturare. Se la stagione era “buona” verso la metà di maggio maturavano e per noi era una pacchia ma dovevamo sempre tenere gli occhi ben aperti per non farci sorprendere dal proprietario a rubare le ciliege e che abitualmente assisteva al rosario, più per tenere d’occhio noi che per vocazione religiosa. Aveva sempre un’occhio  verso il suo giardino. Qualche volta ci andava bene, qualche altra no ma quello era il nostro divertimento.

Passava cosi un mese diverso dagli altri 11 dopodiche si ritornava alla normalità delle cose. Ogni lunedi del mese, si teneva mercato in paese e tantissime persone scendevano dalle frazioni sui monti per recarsi al mercato a far scorta di quello che mancava loro in casa. Molti contadini portavano al foro boario mucche, manzi e vitelli per venderli . I sensali erano indaffarati a trovare clienti e trovatili dovevano far coincidere la domanda con l’offerta sussurrando all’orecchio di chi voleva vendere la cifra che il compratore era disposto a pagare. La trattativa  andava  avanti per un po e se il prezzo offerto era accettato dal contadino, una stretta di mano e l’affare era fatto. Avevo due zie, zia Giulia e zia Pina,  che abitavano nel bosco sopra la frazione di Fraschera (credo si scriva cosi), anche loro contatine e anche loro ogni lunedi, a turno, andavano in paese al mercato. Già sapevano cosa dovevano comperare e per loro il tempo era prezioso come per tutte le persone che scendevano dai monti.

 Io ero solito stare sul piazzale davanti alla cosa dove abitavo o aggrappato alla cancellata di cemento della ferrovia a verdere treni arrivare e partire. La zia passava davanti alla casa e con un richiamo se ero a vedere i treni o semplicemente allungango la mano se ero sul piazzale davanti a casa. Chiamava mia nonna per dirle che mi portava con sé. Avevo 7 anni, non molta forza a quell’età ma un pacchetto riuscivo a portarlo sulle spalle per alleviare il peso alla zia.

La strada per arrivare alla casa nel bosco era lunga e accidentata come tutte le strade dei boschi e il cammino durava un paio d’ore. Ci si fermava ogni tanto a far riposare le gambe (in particolare le mie) e durante queste brevi soste, facevo mille domande alla zia la, quale con immensa pazienza rispondeva a tutte. La mia curiosità era grande come grande era l’affetto e l’amore che provavo per zia Giulia e zia Pina. Narravano che durante la guerra, in uno dei tanti rastrellamenti dei tedeschi, salvai la vita a Zia Giulia. Mentre attraversava il fiume Taro con altre persone, per sfuggiere a qualche pericolo con me in spalle, un ufficiale tedesco impedi ai suoi soldati di sparare verso mia zia perchè aveva me in spalla, un bimbo di pura razza ariana, biondo com’è biondo il grano maturo e gli occhi blu color del mare. (quando mi sposai, chiesi il certificato di nascita integrale al comune di Parma,  sul quale era scritto che io sono di pura razza ariana. Allora si usava cosi).

Raccontavano che ero il cocco dei tedeschi, SS o Vehrmacht che fossero , e per questa loro attenzione, avevo sempre il mal di pancia per il troppo cioccolato che mi davano. Si arrivava a casa verso mezzogiorno, stanchi ed affamati, e trovavamo la tavola bandita con il cibo pronto. Una veloce lavata di viso e mani con l’acqua fredda come il ghiaccio e poi a tavola. Finito di mangiare, con mia cugina Rosetta, poco più anziana di me, si andava per il bosco a cercar fragole , more o mirtilli quando era stagione.

La sera era per me il momento più bello, magico: tutto si quietava, il silenzio avvolgeva il bosco e di tanto in tanto il verso di qualche uccello. Le cicale sugli alberi cominciavano a frinire e i grilli nei campi iniziavano il loro concerto canoro. Le zie potevano finalmente sedersi sull’uscio di casa dopo una giornata di lavoro nei campi e godere per qualche minuto un meritato risposo.  Si cenava tardi e dopo aver sparecchiato e lavato le posate con le zie ci si sedeva attorno alla stufa in mezzo alla stanza rischiarata dalle fiamme della che uscivano dalla stufa. Io e Rosetta raccontavamo alle zie le nostre avventure giornaliere e gli incontri fatti nel bosco: rospi, serpi, ricci, qualche volta volpi. Eravamo bambini e per noi tutto era un’avventura. Per andare a letto, io e Rosetta, dovevamo uscire di casa adare sul retro e salire che portavano alla stanza da letto.

Due letti alti, con le spalliere in ferro battuto e con i materassi fatti con le foglie essicate del granoturco. Quando ci muovevamo nel letto, i materassi “cantavano” come un coro stonato ma eravamo troppo stanchi per badare a questa musica. Ci addormentavamo quasi subito. A volte tornavo a casa accompagnato da una delle zie, sempre di lunedi, a volte tornavo da solo durante un giorno qualsiasi della settimana. Pericoli non ve ne erano lungo la strada. Arrivavo a casa, salutavo la nonna e tornavo ai miei  giuochi in attesa di un’altro lunedi.  

 

Silvano Ottonari