UN VIAGGIO A LA SPEZIA  Luglio – 1945. La guerra era finita da poco. La stazione di Borgotaro era stata bombardata e mitragliata molte volte. Squadriglie di caccia-bombardieri in picchiata avevano più volte bombardato il ponte della ferrovia con scarsi  risultati tanto che furono i partigiani a renderlo inutilizzabile alla fine facendo saltare alcune pile con il tritolo.

I binari erano tutti distrutti tranne che nelle gallerie e da tempo non circolavano treni.
Come potevamo andare a La Spezia  FELICE D. ed io ?
Felice D. doveva andare ad iscriversi per l’esame di maturità. Io volevo andare a La Spezia perché avevo sentito dire che la c’era il Comando Inglese e avrei chiesto di fare l’interprete sapendo bene la lingua inglese sia scritta che letta e parlata avendo frequentato le scuole medie a Londra presso i Salesiani.
Io, fra l’altro, non avevo neanche la bicicletta. Felice aveva il babbo ferroviere e disse che c’era un carrello in galleria e i binari erano buoni e che era sufficiente spingere il carrello fino a metà galleria che poi sarebbe andato da solo data la lieve pendenza che c’era oltre la metà.
Bastava caricare le biciclette sul carrello fino alla stazione di Guinadi.
Chiesi a mia zia la bicicletta con la scusa che dovevo andare a Pontremoli per iscrivermi agli esami e mi fu concessa,Una bicicletta da donna non usata da tempo, vecchia e dura da spingere.
Felice aveva un amico slavo di nome Antonio che era stato partigiano a La Spezia ;diceva che lui aveva degli amici che erano stati in prigione con lui quando erano stati catturati dai tedeschi ed ora abitavano alla FOCE(La Spezia). 
Saremmo andati da loro alla sera e ci avrebbero ospitati Antonio era pure armato di rivoltella ed era una garanzia perché si diceva che la via Aurelia era infestata dai banditi.
Aveva una bicicletta a scatto fisso (cioè senza freni). e che lui sapeva maneggiare molto bene e così eravamo in tre.
Felice aveva una buona bicicletta (l’unica un pò decente).
Riempii uno zaino di pane con un poco di formaggio. Mia mamma non ci credeva e diceva “ Cosa fa adesso” e dove va.
Avevo un solo vestito senza toppe( vestito della festa si diceva ) scarpe scalcagnate poche anzi pochissimi soldi da parte.
Il vestito era così stretto in un corpo così magro che sembravo  un verme.
Ci fu concesso il carrello,caricammo le tre biciclette e partimmo. A spingere eravamo in due.
Imboccammo così la GALLERIA DEL BORGALLO la cui lunghezza é di circa 9 Km.
Poggiando sul carrello ed i piedi su un binario( uno a destra e l’altro a sinistra)cominciamo l’AVVENTURA.
Le gambe e i piedi si alternavano ciascuno sul binario senza sbagliare un colpo mentre uno di noi stava seduto sul carrello ad alternanza. Il carrello prendeva velocità ed allora chi spingeva saltava sù ma dopo una ventina di metri eravamo ancora fermi.
Ad un certo punto si entrò nel buio assoluto che sembrava non finire mai . Ogni tanto si accendeva un fiammifero per vedere a che Km eravamo, ma non si vedeva niente.
A turno per farci coraggio dicevamo” Coraggio che a metà strada va da solo!
In stazione ci avevano raccomandato di portare indietro il carrello! Buio totale per ore .
All’improvviso un piccolo filo di luce in lontananza che man mano si scorgeva meglio ma era ancora molto lontano.
Altro che va da solo come ci avevano assicurato in stazione, avevamo spinto per tutta la traversata.
Ci fermammo perché scorgemmo gente in lontananza che si avvicinava sempre di  più, gente che andava a Borgotaro a piedi carichi come muli. Infatti era Lunedì mattina e a Borgotaro c’era il mercato settimanale. Quando arrivarono da noi gli offrimmo  il carrello e loro ci benedissero e noi benedimmo Loro.
Noi scaricammo le bici e Loro caricarono sacchi, sacchetti e fagotti vari. “Portatelo in stazione mi raccomando” dissi Loro.
“ Grazie é Dio che vi ha mandati” risposero Loro.
Finalmente uscimmo dalla galleria infinita ridotti a delle maschere umane. Addio vestito della festa! Le scarpe marrone erano diventate nere,pure la camicia aveva cambiato colore. Antonio che era biondo e rosso di viso era diventato un africano, pure la divisa inglese color marrone era diventata nera. Anche felice ,vestito di chiaro, era diventato scuro.
Per fortuna in stazione( a Guinadi) c’era una fontana e così potemmo lavarci e rinfrescarci.
Io pensavo a come mi sarei presentato alle autorità per chiedere un posto così mal ridotto. Ben altro però ci attendeva prima di arrivare a La Spezia.
Da Guinadi a Pontremoli un calvario! aravamo a fine Luglio un caldo soffocante; la strada era ghiaiata ,sconnessa, piena di buche, senza manutenzione dall’anteguerra. L’unico vantaggio era che era discesa fino a Pontremoli, dopo avremmo trovato la Nazionale della Cisa  fino a La Spezia tutta asfaltata.
Me tapino,doppio tapino, l’asfalto non esisteva più! Le colonne  tedesche, in avanzata prima, in ritirata poi,più i bombardamenti e mitragliamenti avevano distrutto tutti i ponti e divelto tutti gli asfalti così che dappertutto c’era ghiaia e polvere.
Polvere e ancora polvere, caldo da solleone senza aria e senza acqua, non si trovava una fontana.
Quando arrivammo alla Via Aurelia decidemmo di fermarci a fare uno spuntino, ma non trovando acqua entrammo in una osteria. Chiedemmo  da bere; ci dissero che l’acqua era di pozzo ed era poco buona. Ci portarono mezzo litro di vino con una mezza bottiglia d’acqua.
Mangiammo un poco di pane e formaggio che avevamo portato con noi e che sarebbe stato l’unico cibo che ci avrebbe permesso di mangiare quel tanto da tenerci in piedi in questo viaggio.
Oltre Aulla, voltandomi vidi uno in lontananza che si avvicinava . Dico:quello va più forte di noi!“ Quando ci raggiunse mi disse: TERONI cosa fai tu qui ?. Era un mio compaesano ed amico Vittorio Ruggeri.” Vi saluto” ci disse “ Voi andate troppo piano . OIBO”.
Via sotto il sole. Le pedalate sempre più pesanti, la polvere che si impastava col sudore era insopportabile. Arrivammo ad un lungo ponte distrutto”. Coraggio che dopo il ponte c’é Migliarina vicina a La Spezia . Biciclette in spalla e attraversiamo il fiume a piedi” ordinò Felice.
Ad un tratto apparve un sentiero in mezzo alla ghiaia e ai sassi; usammo allora le bici, ma era così stretto che era meno faticoso andare a piedi. Era molto largo il letto del fiume e; mi chiedevo dove fosse l’acqua . Arrivammo all’acqua non più di 5 centimetri di profondità per una larghezza di un metro scarso. Ci lavammo un pò e via di nuovo. Il sole si era abbassato all’ orizzonte ma il caldo era ancora forte. “ Ecco Migliarina ormai ci siamo” urlò Felice . Un cavolo! Io so che arrivammo a La Spezia che il sole se ne era andato.
Qui Antonio era pratico e disse “: Seguitemi” C’é una fontana ? ”  chiesi “Vieni ti ci porto io” rispose Antonio.
Così arrivammo in riva al mare e c’era una fontana pubblica dalla quale zampillava acqua fresca . Feci per scendere dalla bici,  ma non ci riuscii.
Avevo le gambe anchilosate .Bevvi appoggiandomi alla Fontana senza scendere.
C’erano alcuni militari alleati di colore che passeggiavano nel viale alberato vicino ai mare e chiesi loro dove fosse il  Comando  Inglese.
Risposero che il comando era a Genova .Chi ci va più a Genova? I viveri cominciavano a scarseggiare,pure i soldi.
La ferrovia non esisteva più. L’unico traffico che c’era qui erano le jeep dei soldati di colore che scorazzavano a folle velocità per le strade polverose a cominciare da Migliarina in poi.
Ora non c’era solo la polvere,il caldo e la fatica ma anche il pericolo di venire travolti da questa gimcana o caroselli che dir si voglia. Infatti poco prima di Migliarina avevo davanti a me Felice (Antonio era ancora più avanti) che per un pelo non venne travolto a una di queste jeeps che spuntò da una curva a velocità folle. Cacciai un urlo e Felice, molto abile, riuscì per miracolo a scansarsi.
Felice cercò di iscriversi per l’esame ma era tardi e trovò tutto chiuso. Decise che si sarebbe iscritto la mattina seguente.
Dove avremmo passato la notte? “Agh pens mi” disse Antonio Ho degli amici di prigione che abitano alla Foce; andiamo da loro che ci sarà da dormire e forse anche da bere e mangiare” “ Vedi . La Foce é in cima a quel monticello lassù”.Io dissi che non ce la facevo più a fare quella salita in bici e così decidemmo  di prendere le bici in spalla e, dato che c’era anche una lunga scalinata salire così fino alla cima.
Ormai era buio ma c’era la luna piena che rischiarava le tenebre. Sarà stata la mia impressione ma mi sembrava che la luna sogghignasse vedendoci  ridotti così malamente.
Disse Antonio :“ Ancora 10 minuti e siamo arrivati”. A forza di chiedere a gente barricata in casa per paura dei banditi che abbondavano nella vicina “ Via Aurelia” giungemmo verso le 11 di sera dagli amici di Antonio.
Stavano in una stanza seduti su una panca a strimpellare su strumenti musicali vari ed a canticchiare.
Saluti, abbracci,come va? come non va! Come mai da queste parti? Qual buon vento? Senti questa! Senti quest’altra ! Di mangiare  o bere non se ne parlava affatto. Mi ohimè sento che le poche vettovaglie rimaste sono in pericolo. Ci fecero sedere e ci diedero  un pò d’acqua dicendo di berne poca perché era poco buona.
Dopo un paio d’ore presi il coraggio a due mani e chiesi dove si potesse dormire. Ci risposero che c’era una casa a circa 200 metri vicino alla strada che avevamo prima percorso con una cascina piena di fieno di un loro amico.
Ma dovete chiamarlo e dirgli che vi mandiamo noi e chiedergli di lasciarvi dormire nella cascina perché dato che ci sono banditi nelle vicinanze rischiereste di prendere una schioppettata. Mi raccomando fate così disse uno di loro.
Così ripartimmo all’una circa di notte(grazie luna) e trovammo la casa. Antonio  chiamò l’amico degli amici più e più volte fintantoché si alzò una voce arrabbiata e mi sembrò di vedere luccicare qualcosa che a me sembrò la canna di un fucile.
Antonio riuscì a rabbonirlo e l’uomo ci permise di dormire nel fienile raccomandandoci di non fumare (probabilmente era un antenato dei ministro Sirchia).
Felice decise che il mattino successivo sarebbe andato di nuovo a La Spezia ad iscriversi all’esame di maturità mentre io ed Antonio avremmo proseguito sulla via del ritorno a casa e l’avremmo atteso a Sesta Godano dove abitavano due amiche slave di Antonio.
Andammo così a dormire finalmente ! Prima di dormire mi venne però un pensiero. Che fortuna avevamo avuto con le bici.
Nessuna foratura o rottura nonostante la ghiaia,le infinite buche ed il greto dei torrenti in secca attraversati, Se avessimo avuto un incidente come avremmo potuto proseguire senza soldi e senza cibo? Saremmo dovuti ritornare a piedi con le bici in spalla.
Avevo ancora 2 pagnotte di pane ed un pezzo di formaggio che se qualche ratto, il cascinale ne era pieno, se ne fosse accorto al risveglio saremmo rimasti alla fame,Mi svegliai presto e vidi che Felice non c’era più, era già partito per La Spezia. Il pane c’era ancora così pure il formaggio.
Antonio dormiva ancora ma lo svegliai e gli dissi di partire subito per evitare il caldo possibile il caldo afoso del solleone.
Ora avevo il pensiero delle forature perchè Felice non era più con noi ed era l’unico che aveva il mastice ed i gommini per le pezzature delle gomme. Era diventato determinante all’improvviso.
Bando ai cattivi pensieri e via verso Sesta Godano dove lo aspetteremo come d’accordo,
“Andremo a trovare le giornaliste slave “ disse Antonio partì come un fulmine. Per me invece era un calvario in quanto nonostante la strada fosse quasi tutta in discesa dovevo pigiare sui pedali lo stesso. Ad un tratto io vidi che mi aspettava seduto sopra un sasso.
Non era la prima volta che lo faceva; si era abituato a fare delle volate poi ad aspettarci ridendo.
“ Dammi la tua bicicletta e prendi la mia”, gli dissi e così facemmo .Dopo un lungo tratto mi fermai . Non arrivava,..
Allora via di nuovo. Ad un tratto la strada incominciò a scendere in modo sensibile fino a diventare una discesa ripidissima.
 In fondo c’era un cartello “ Attenzione !! Ponte crollato “. Persi le pedaline cercando di frenare(le bici a scatto fisso non hanno freni… si frena con le pedaline).Panico Feci pesare tutto il, corpo sul manubrio con le mani mi alzai quel tanto che bastava e contemporaneamente la bici balzò via ed io rimasi seduto per terra senza un graffio. Tempismo perfetto .
Questione di secondi dato che sicuramente andavo a più di cinquanta Km orari dato che la discesa era molto ripida ed avendo perso il controllo dei pedali non potevo più fermarmi.
Aspettavo Antonio che non arrivava mai Per fortuna la bici non subì danni.
Antonio arrivò alla fine stremato e brontolando mi disse: “Prendi pure la tua bici e dammi la mia.”
Arrivammo a Sesta Godano a mezzogiorno. Mangiammo un pò di pane e formaggio e bevemmo una birra ciascuno in una piccola osteria senza la minima traccia di clienti.
Aeravano gli unici turisti che vedevano da anni e ci chiesero da dove venivamo e se c’erano altri indietro un pò più ricchi di noi.
Ohibò ! Io pensavo “ Adesso andiamo a trovare le giornaliste slave che forse ci faranno un buon caffè con biscotti a merenda.
Niente caffè o biscotti ; non ne avevano più e nemmeno lo zucchero dato che da tempo immemorabile non ne trovavano.
Erano due belle signorine e avevano una casa di lusso. Divani e mobili rari, lucidi e bellissimi.
“Venite,venite abbiamo una aranciata da offrirvi” e così fu. Noi avremo senz’altro lasciato le tracce sui pavimenti e sui tappeti e penso che dopo la nostra partenza avranno spolverato per una giornata intero almeno. 
Dicemmo loro che dovevamo proseguire e che preso sarebbe passato Felice a trovarle, lasciando loro l’incarico di dirgli che lo avremmo aspettato a Varese Ligure ai piedi del Centocroci.
Arrivammo a Varese sul calar del sole. Ci fermammo in una osteria e mangiammo il nostro solito cibo bevendo una birra e dando così all’oste un pò di speranza per il futuro.
L’osteria era proprio sulla strada all’inizio della salita del Centocroci appena fuori da Varese, piccolo centro di montagna.
Da lì si vedeva un buon tratto di strada che tenevamo d’occhio per l’arrivo di Felice.
Un’ ora ,due ore,quasi tre ore ed ecco Felice spuntare laggiù in fondo che arrancava da vero campione. Arrivò fradicio come se fosse passato attraverso un temporale. Dalla Foce tornare a La Spezia e poi arrivare a Varese attraverso lunghissimi tratti di salita e strade sconnesse tutto in un giorno era stata veramente un a terribile sfacchinata.
Il sole se ne era andato, si fece buio quando Felice finì di masticare un boccone tanto per sopravvivere.
Facemmo un piccolo inventario. Avevo ancora una pagnotta di pane ormai da dividere in tre e qualche spicciolo per bere ancora almeno una birra in qualche osteria. Gli altri non avevano più niente di niente.
Decidemmo di proseguire e di fermarci a mangiare l’ultimo boccone sul passo di Centocroci dove c’era una osteria.
Partimmo con la luna che sghignazzava !! I pazzi si seno messi di nuovo in moto, sembrava dire.
Percorrevamo una cinquantina di metri in bici poi a piedi poi di nuovo in bici e così via fino alla cima che non arrivava mai!
Arrivammo finalmente all’osteria ma era chiusa. C’era una panchina ed una fontanella e così al chiaro di luna
mangiando tutto quello che restava.
Ormai é tutta discesa ,occhio ai freni! Tenere lo sguardo fisso al centro della strada perché mica sempre c’é il
chiaro di luna dato che é calata parecchio e l’abbondanza di piante crea zone d’ombra molto intensa.
Una strada piena di buche e ghiaia, curve e controcurve, tutta in discesa ripida che non finiva mai.
Occhi ubriachi di polvere e fatica intenti a fissare intensamente il centro della strada con la paura costante di uscire
 in piena velocità .Mani bloccate sui freni. Speriamo che non si rompano.
Quel demonio di Antonio in una condizione simile era a nozze. Lui nelle discese,cantava e metteva e metteva i piedi sul manubrio.
Cosa sarebbe accaduto se si fosse fatto male? Senza anima viva nel raggio di parecchi chilometri in piena notte su una montagna!
Ad un tratto sentimmo un urlo abbastanza lontano. Antonio era sempre in testa seguiva Felice, che mi stava sempre vicino, e poi io.
Era Antonio che gridava e riuscii a capire …muli ! muli!
Dissi a Felice :“ Ci sono dei muli sulla strada attenti!
Dopo un pò sentimmo uno scampanellare e un uomo che bestemmiava ed urlava arrabbiatissimo. Era accaduto che Antonio a piena velocità era piombato in mezzo ad una colonna di muli che il conducente ( forse trasportatore di legna a mezzo muli portava la lavoro o al pascolo.
Pure noi arrivammo in mezzo ai muli ma a velocità ridotta essendo stati avvertiti dalle urla di Antonio. Antonio era spaventato forse ancor di più del conducente il quale poveretto si era visto piombare addosso, nella notte semibuia,un bolide infernale.
Il pericolo era che i muli non erano in fila indiana ma sparpagliati per la strada e Antonio disse :“ Li ho schivati per miracolo”.
A questo punto ci  fermammo un po’ e dopo un conciliabolo fra noi decidemmo che strada prendere; perchè  Tornolo era ormai vicino e la strada era meno ripida .Inoltre Felice ormai era pratico della zona ed eravamo più tranquilli. 
A Tornolo ci fermammo e decidemmo di cercare un’osteria per bere gli ultimi centesimi che avevamo.
Non C’era un cane in giro dato che era ancora semibuio.
Arrivati all’osteria Antonio si mise a chiamare ad alta voce :“ Ehi di casa aprite “.
All’ improvviso spuntò una canna di fucile da una persiana ed una voce urlò: Cosa volete a quest’ora di notte cosa fate tanto baccano.
Andatevene o sparo
Antonio rispose :“ Pure io sono armato e so sparare meglio di voi.” Al che Felice sgridò Antonio in sloveno e disse a quello del fucile .:“ Ce ne andiamo !”. E così fu.
Stabilimmo di non fermarci Più nemmeno a Bedonia o Borgotaro e arrivammo a San Rocco.
Quando giunsi in casa mia aprii  per prima cosa tutti i cassetti; sulla stufa c’era una pentola di minestra fredda.
La mangiai tutta …. Quella minestra che ogni giorno mi tormentava era diventata il cibo più buono del mondo!!

Giuseppe Terroni