Cosi, Tanto per Passare il Tempo Silvano Ottonari 11-01-2016
11 Gennaio 2016 da valerio
Silvano Ottonari
Cosi, tanto per passare il tempo.
Inizi anni cinquanta: poco lavoro, pochi soldi molta emigrazione. Molte famiglie avevano difficoltà ad arrivare a fine mese, la spesa si faceva con il “libretto†e si saldava il conto a fine mese o a fine anno per chi era andato a lavorare all’estero.
Avevo una decina d’anni o poco più, la guerra era finita da poco e noi ragazzi, nelle ore libere da impegni scolastici o durante le vacanze estive, si girava tutta la vallata in cerca di non sapevamo cosa ma ogni tanto qualcosa si trovava: proiettili di mitraglia che facevamo esplodere sul fuoco, balestite, che noi ragazzi facevamo bruciare tenendo le strisce a mo di torcia, zolfo che trovavamo sull’orlo delle buche fatte dalle bombe che mescolavamo con il potassio per poi fare piccole esplosioni usando i tacchi delle scarpe, trappole esplosive; finte penne, farfalle di metallo, che potevano esplodere tra le mani se si tentava di “vedere come erano fatteâ€. Queste trappole esplosive ed altre ancora, erano anche stampate su manifesti che erano appesi nelle aule scolastiche e gli insegnanti non smettevano di ricordarci i pericoli insiti in tali ordigni e l’avvertimento era: se trovate qualcosa che assomigli ad uno di questi, e ci venivano indicati con la bacchetta, che non mancava mai in mano agli insegnanti, non toccateli ed avvisate subito i vostri genitori o persone più grandi di voi.
Uno degli assilli più sentiti era la cronica mancanza di denaro: anche poche lire per un gelato da comperare dalla Maria del Gatto, ( 5 lire, un solo gusto; due gusti 10 lire) era un problema. Inutile chiedere a casa, la risposta era quasi sempre no.
Cosi noi ragazzi ci ingegnavamo. “Panini imbottiti, bibite fresche†gridava il Sig. Rocchi e la Maria sua moglie con i figli, gestore del bar della stazione ferroviaria, quando un treno passeggeri sostava per alcuni minuti per far salire e scendere i passeggeri. Chi acquistava una bibita, normalmente era una aranciata, finiva di berla prima che il treno arrivasse al ponte di ferro sul fiume Taro e gettava la bottiglia di vetro fuori dal finestrino, giù nella scarpata. C’era in quel tempo, un produttore di bibite che aveva il laboratorio nella cantina di un palazzo della Stazione. Necessitava di bottiglie di vetro, le stesse che i passeggeri dei treni gettavano dal finestrino e che noi ragazzi raccoglievamo. Le pagava 5 lire l’una e quando eravamo fortunati, mettevamo in tasca 20/30 lire, abbastanza per qualche gelato da 10 lire.
Ci accontentavamo di pochi spiccioli ma quelli più grandi di noi, i giovanotti, necessitavamo di somme maggiori : per le sigarette o per andare a ballare o per il cinema. Ma come procurarsi il denaro? Quancluno creò un trio musicale: batteria, chitarra e fisarmonica per andare a suonare nelle cascine dei contadini su per i monti in occasione di matrimoni o altre ricorrenze. Qualcun altro ebbe la pensata di fare pescate… miracolose, imitare qualcuno che 2000 anni prima ebbe la stessa idea. Insomma, ogni occasione era buona per raccimolare qualche soldo.
Poco distante dal cementifico Rossi, un canale scendeva dalla montagna e tra il cementificio e una villa circondata di pini, il canale aveva formato una grossa pozza d’acqua molto profonda formatosi chissà come, pieno di trote e cavedani. Come prenderle? Con le mani era impossibile cosi come con gli strumenti classici per la pesca.
Alcuni anni prima, qualcuno trovò nella galleria del Borgallo, alcuni proiettili da ’88 che i tedeschi in ritarata, avevano lasciato. Li nascose per farne qualche utilizzo, un giorno o l’altro. Uno di quelli che trovarono i proiettili propose di usarne un bossolo come esplosivo per pescare le trote del laghetto. Un esperto di esplosivi (un ex partigiano) preparò il bossolo con detonatore e miccia e aspettarono il momento propizio per mettere in pratica la folle idea.
Venne il giorno più idoneo, la domenica. Pochi operai al cementificio cosi come alla fornace di laterizi non molto lontano. I pescatori (erano in 5) si recarono presso il laghetto e l’esperto di esplosivi dopo aver innescato il bossolo con il detonatore e accesa la miccia a lenta combustione, piazzò la bomba sotto un grande masso a lato della pozza. La bomba esplose: una grande colonna d’acqua si alzò verso il cielo svuotando il laghetto e pesci a non finire tutto attorno. I cinque raccolsero i pesci in fretta e furia e se la diedero a gambe levate per evitare guai. Raccimolarono un bel gruzzolo che divisero in parti uguali tra di loro. Uno dei 5 pescatori ebbe un’altra pensata, sempre illegale, ma meno pericolosa.
Dalla diga sul fiume Taro, dalle parti della Bertorella, partiva un canale artificiale costruito con la diga negli anni trenta del secolo scorso, che seguiva l’olografia del territorio, portava l’acqua alla centrale elettrica in San Rocco. Sotto la centrale c’erano due vasconi di scarico delle turbine che poi veniva inviata, attraverso un canale, nel fiume Taro. Acque fresche, corrente abbastanza forte, ideale per le trote e di trote ve ne erano in abbondanza ma era severamente proibito pescarle. Come aggirare il divieto?
Qualcuno trovò il modo di pescarle! Sia come sia le trote vennero pescate ed in abbondanza e più di una volta. La tecnica di pesca era articolata e molto efficace. Si pescava in 4: due dei quattro si cospargevano il corpo di grasso per resistere alle acque fredde; uno dei due teneva la corda che il primo si legava attorno alla vita per non essere risucchiato nel mulinello dello scarico delle turbine e portava con se diversi fiaschi di varecchina nello zaino; il terzo e quarto, a valle delle vasche lungo il canale, tendevano una rete da una parete all’altra del canale largo circa 4 metri, per raccogliere le trote. Tutti e 4 si calavano nel canale, i primi due risalivano sino alle vasche: quelli ingrassati nuotavano sino allo scarico delle turbine tenuto in sicurezza dalla corda legata attorno alla vita e tenuta ben stretta dal secondo e iniziava a rompere i fiaschi. La varecchina si mescolava all’acqua e le trote stordite dalla varecchina si lasciavano trascinare dalla corrente e venivano fermate dalla rete più a valle tesa dagli altri due pescatori. In poco tempo erano pescati parecchi kilogrammi di trote che venivano vendute in paese.
Non vennero mai scoperti e solo in pochi sapevano dell’attività clandestina notturna della banda dei pescatori di frodo.