Fabbrica dei Rocchetti

 Come abbiamo già scritto, a Borgotaro c’erano parecchie fabbriche e, nell’immediato dopoguerra, tutte ripresero a funzionare. Questa volta parliamo della fabbrica dei rocchetti.  I rocchetti sui quali si avvolgeva il filo (refe) venivano fatti in due fabbriche. Ci racconta tane cose Pietro Previ che e davvero una buona fonte di notizie e di esperienze. "Lavoravo della fabbrica dei rocchetti che si trovava nella strada del cimitero (dove adesso vendono i fiori) o meglio nella segheria dove i lavori erano diretti dal “segantino” Aliele Azzali che con il fratello Armando era venuto a Borgotaro da Fontevivo, nel parmense, al tempo di Cerati. Facevamo soprattutto i rocchetti con il legno di ontano.

Ecco in breve il percorso che subivano i tronchi d’agnidan (ontano). Con la sega elettrica tagliavamo tronchetti di otto centimetri; usavamo quindi il trapano a pedale da cui uscivano cilindri semilavorati con il buco nel mezzo. Per una stagionatura accelerata, tali tronchetti venivano gettati in vasconi di acqua calda (anche per togliere il tannino che rallentava la stagionatura). Da lì con dei forconi li portavamo in un essiccatoio. Quando erano asciutti si mettevano nei sacchi e si mandavano a Lucca per la tornitura. Oltre ai rocchetti facevamo le sedie, in faggio, che si chiudevano e aprivano. Per la chiesa di San Rocco ne abbiamo fatte molte. Poi si costruivano cassette, quelle più grosse per l’ uva di Montelli, e le più piccole per i frutti del sottobosco. In questo reparto lavoravano anche le donne: ricordo la lride Bazzani e la Nilde d ’Gabar0tu. Anche i filarò erano un nostro prodotto. Fatti di faggio, avevano "il pedalino" e servivano per filare la lana. Pietro continua il suo racconto cosi: "Quando c’era in vista uno sposalizio, la famiglia della sposa doveva pensare ai mobili. Allora chi abitava in campagna, portava nella nostra segheria tronchi di noce o di ciliegio da cui si ricavavano tavoloni di otto centimetri che i contadini facevano stagionare al sole. Li portavano quindi ai falegnami per "creare" dei mobili, in particolare le camere da letto. Di questi artigiani ricordo: Bonici, Cacio (Cacchioli), Galluzzi, Savani, Nello Molinari, Delnevo ( Tinelu). . . Nella nostra fabbrica si facevano anche serramenti e con l`agnidan, che era un legno dolce, gli zoccoli. Aliele aveva molte iniziative, comperava anche i boschi per avere legno in abbondanza da lavorare. Faceva arrivare dall’alto Adige gli abeti e ne ricavava tavole che vendeva alle ditte di edilizia. Il nostro guadagno era di 300 lire al giorno, quando ce le davano. Erano gli anni ’50. Nell’altra segheria di S. Rocco era titolare Alberto e responsabile Luigi Bottali. Quando quest’ultimo morì . nel ’49, prese il suo posto la moglie Linda Gasparini. “Mia madre — riferisce il figlio Aldo ha continuato a fare l’operaia; in particolare era addetta alla scelta dei rocchetti: scartava, ad esempio, quelli dove il legno formava dei nodi, perché potevano spezzarsi", Responsabile dei lavori era Armando Azzali, fratello di Aliele, che ci ha insegnato ad usare il trapano per fare"le trottole”. Anch’io dice Aldo prima di diventare autista, ho lavorato in questa fabbrica per 5 anni come"trapanatore". Eravamo in una ventina di operai. Quando cominciarono a circolare rocchetti di plastica o di cartone pressato, la lavorazione dei rocchetti diminuii e un po’ alla volta cessò del tutto. Il lavoro allora si riversò sulle cassette della verdura. Mia madre continuo, infatti, la sua attività con la costruzione di cassette e poi in fabbrica si procedeva con il legno di quercia a fare le traverse per la ferrovia. La ditta aveva preso il nome di Gasparini-Azzali. Ricordo conclude Aldo Bottali che in fabbrica c’erano anche operai di Carrara, perché Geminiani era di quella città. La fabbrica chiuse i battenti negli anni ’8(). Scarti del legno Gli scarti del legno con i buchi venivano comprati per accendere la stufa,ma alla gente serviva anche la segatura, che veniva venduta a sacchi. Rispetto alle altre fabbriche lavoravamo un’ora in più, perché al suono della sirena ci fermavamo ancora un’ ora per pulire le macchine.

Tratto dalla Voce Del Taro Rita Feci