PENSO …..L’ABETE DI SAN ROCCO

Tra gli anelli dei suoi cent’anni, l’abete racconta la sua storia……
E’ una storia di guerra e di pace sotto quelle fronde protettrici e conservatrici di un tempo lontano dove tutto era più semplice e trascorreva tranquillo lassù sulle rive del torrente.

Silenzioso, di un bel verde intenso, attraversava le sue stagioni spesso osservato con meraviglia da chi incontrava sul suo passaggio. Era quasi come se, ambizioso e ad un tempo orgoglioso della sua bellezza, volesse farsi davvero guardare da chi in quel quartiere abitava e, ammirato, si stupiva, che nonostante la sua vetusta età, ancora fosse lì a sfidare la storia, quella che lui aveva visto scorrere, testimone silenzioso di una Val Taro che li’ alla sua ombra nasceva e cresceva tra carriole di sabbia e cemento.
Aveva ormai raggiunto il secolo …Era bello, alto e possente, ma a nulla è valso aver fatto quel percorso di vita lassù tra il rumoreggiare di quelle acque cristalline. Cent’anni e nulla più. Molto prima di raggiungere il suo malaugurato destino, artistiche fontane, tavoli da giardino, svariate forme di decori per arredi esterni ed interni stazionavano alla sua ombra per poi essere consegnati alla committenza. Quasi che alle soglie del duemila, il quartiere dovesse continuare la sua corsa verso un progresso senza fine cancellando le tracce di una civiltà antica…sì…..antica come la ferrovia che lo attraversava. Lui era là, unica testimonianza di un passato che non è più. Piantato??Seminato?Nessuno lo può dire…è certo comunque che intorno al 1920 arrivò con quel treno che portò tutti noi in quel quartiere non molti anni prima e non possiamo sapere se all’epoca era soltanto un piccolo seme oppure già una pianta pronta per essere interrata. Sta di fatto che, con l’allora baracchetta in legno arrivata dal fronte su in Trentino, ci raggiunse anche lui e mai più pensava di ricevere cosi bella accoglienza. Fu piantato proprio al fianco della sua compagna di viaggio e, in quel luogo, insieme, hanno goduto della compagnia di tanta bella gente, con un destino analogo, anche loro arrivati da lontano e ormai da anni residenti in quartiere:operai al lavoro, bambini intenti ai loro giochi, ragazzi, donne sulla soglia di casa a sferruzzare, pittori e fotografi che immortalavano quel luogo, colori e cavalletti alla mano e …..via vai di carico e scarico di merci e di lavori finiti che partivano per i luoghi più nascosti della Valle del Taro. Un giornata intensa: il giorno si lavorava, la sera i bambini scorrazzavano in qua e in là liberi e felici e per i più grandicelli intrattenimenti musicali con ballo erano di casa là in quel cortile e un caldo abbraccio accoglieva chi entrava in quel luogo. Ogni giorno, quando il suono della sirena della fabbrica del cemento, alle ore otto di ogni mattina, si faceva sentire assordante nell’aria, l’enorme cancello di ferro si schiudeva e una moltitudine di operai entrava: il lavoro li aspettava…ma non finiva qui…perché la vita continuava fino a notte fonda…
C’erano in quel cortile, in quella casa spazi per bambini e ragazzi del quartiere che lì venivano accolti ed invitati a trascorrervi i loro momenti di svago e di gioia quando tutto intorno era silenzio. Finiva il frastuono delle macchine, terminavano di scorrazzare in qua e in là, in un frenetico andirivieni camion e mulattieri che in quel luogo convergevano per i loro servizio di consegna materiali e ritiro merci in distribuzione. Arrivavano da fuori i ragazzi della stazione e, tutto, intorno a lui, brillava della luce dell’amicizia, dell’armonia, della serenità: i più grandicelli giocavano…. chi tra le vie dell’azienda giocava a palla prigioniera, chi a nascondino, i più piccoli facevano a gara a percorrere quelle strade in bicicletta,costretti dai grandi a esercitarsi per poi intraprendere il difficile compito di andar per le strade pubbliche…oppure giocavano insieme agli altri a nascondersi tra quelle enormi distese di materiale… ma c’era anche chi ballava e qui grandi e piccoli si univano. Le comari sull’uscio chiacchieravano, chi mancava era l’uomo che si ritrovava alla trattoria lì vicino e insieme ad altri finiva la giornata davanti ad un bel bicchiere di vino…..insomma ognuno a suo modo trascorreva allegramente la serata. E il nostro protagonista della storia?????Sempre vigile, guardava divertito…… Sì, Casimiro, il fondatore della Ditta Tagliavini della Val di Taro, lo trovò per caso facendo arrivare dall’alta Italia, quella baracchetta. Arrivò a sorpresa come a sorpresa sparì. Fu piantato in un luogo strategico da dove ridente abbracciava la valle. Dal suo secolare ‘appostamento’ dominava tutto il quartiere e andava sicuramente oltre…Era lui che accoglieva in un abbraccio chi arrivava dal treno, spesso aprendo le porte ad una vita nuova, colmando quei vuoti che la miseria lasciava in quei tempi difficili che solo il culto dell’amicizia e della fratellanza aiutavano a superare. E lui? Accoglieva tutti col suo silenzio là dove quella porta sempre aperta offriva il suo aiuto per la crescita del borgo e della valle…… Se uno, sfidando la paura, si fosse arrampicato fino lassù dove la sua cima stagliava il cielo azzurro, scommetto che avrebbe rivisto molto di quella Val Taro che lui ogni giorno teneva a “ Battesimo” sotto le sue fronde…..Il suo posto era là…un destino il suo legato a S. Rocco, a Borgo Taro, alle due valli che dal Penna e dai suoi fiumi si erano formate….Quando venne piantato il quartiere era giovane: poche case:una in qua,una in là,Via libertà non era ancora e quella strada che dalla stazione conduceva al paese si chiamava Via 28 Ottobre, tanta terra lavorata da contadini e nulla più. A volte pensando al suo sorgere, istintivamente il pensiero mi va a una poesia di Aldo Palazzeschi spesso inserita nei libri di testo per le scuole elementari di oltre mezzo secolo fa: Rio Bo. Poche righe riassumevano quel piccolo paese:una chiesa, un ruscello, rare case, un cipresso. Ecco: così immagino San Rocco prima che la linea ferroviaria lo attraversasse e una grande famiglia si stesse formando intorno a quel piccolo centro abitato.
Là sulle rive del Tarodine, un abete al posto del cipresso accolto da chi sapeva dare il giusto valore alla parola accoglienza, faceva parte ormai della storia…..Fu così che anche il Borgo iniziò la sua corsa verso il progresso….. Sorsero dunque piccole fabbriche e laboratori artigianali e il Quartiere divenne terreno fertile per molte realtà industriali del territorio. Nacque in questo momento anche la Ditta Tagliavini.
Casimiro, arrivato da Colorno, suo paese natale, conosceva già quei luoghi per il compito che la provincia di Parma gli aveva affidato. Era un lavoro di ispezione delle strade del territorio di tutta la Val taro, addetto alla Val Ceno invece, c’era Emilio, suo fratello. Stessa cosa presumo sia capitato in Val di Magra, dove, a Pontremoli, stazionava il fratello Antonio. E allora ritengo che la necessità di reperire materiale in loco, abbia fatto pensare ai tre fratelli che forse poter creare dei magazzini e insieme produrlo per le necessità che la loro occupazione richiedeva, potesse essere di aiuto soprattutto per quelle zone, soggette a noiosi interventi per i dissesti idrogeologici che spesso vi si verificavano. Cosi che sorsero non una, ma tre aziende lungo i paesi da loro serviti. Punti di appoggio: Noceto, Borgo Taro, Pontremoli. A volte mi piace fantasticare e pensare che forse, veramente erano legati da un destino comune, l’abete e la baracchetta…..lui arrivato lì per offrire ombra in quel cortile assolato e lei per accogliere sotto il suo tetto, i molti operai che l’azienda ha visto passare in più di mezzo secolo di vita…. Momenti tristi, momenti lieti condivisi da tutti quelli della ditta Tagliavini di Borgo Taro…Era come se in quel grande fazzoletto di terra si riassumesse tutto il paese, che dico? Tutta la valle.. Tante gioie, tanti dolori ma pur sempre partecipati da amici vicini e lontani…La Val Taro spesso era lì….come se quel luogo fosse il tratto d’unione tra la Valle e l’emigrante che spesso arrivava da fuori e lì convergeva, contribuendo a far crescere la sua vallata…Chiese, monumenti, trasformazioni di case e villini..,di alberghi ..tutto derivava da lì…Erano momenti di grandi cambiamenti e la vita ci portava a vedere, molto in fretta, il mondo intorno a noi mutare quell’aspetto che aveva assunto anni prima… Ma la storia continua….e anche dopo tagliato, il ‘pino’…ha continuato a tesserla.., le sue fronde hanno allietato carnevali di ogni epoca, utilizzate per adornare famosi carri portati con successo lungo le vie del paese e la vita gli ha riserbato un ultimo grande motivo di soddisfazione e di orgoglio per aver allietato con le sue fiamme il falò di un carnevale dei giorni nostri, motivo di gioia di grandi e piccini. Bruciava e tra le sue fiamme era come se si ravvivassero i ricordi, il pensiero correva lontano…..in quelle fiamme c’era tutta la mia vita di bambina, c’erano i racconti di una guerra ascoltati tra le mura di casa, c’era quel portone sempre aperto a chiunque bussasse per un bisogno, c’erano i miei trascorsi e quelli di una famiglia che non si è mai stancata di dare, di offrire riparo a tutti coloro che a quella porta bussavano per avere sostegno, conforto, aiuto, c’erano le grida dei bambini che giocavano con me ……E allora con le ali della fantasia ritrovo l’abete, salgo e lo avvolgo…Utilizzo le lunghe pellicole che una volta la zia fotografa toglieva dalla sua macchina fotografica per stampare poi nella sua camera oscura, e inizio a proiettare la mia storia fatta di giochi e di arte, di guerre e di pace….Ecco: il cortile si colora, i luoghi si rianimano, la vita riprende forma e allora vedo…vedo un mondo lontano nel tempo, ripercorro racconti del passato che io non ho vissuto ma che sono vivi nelle narrazioni di chi è stato prima di me,ma soprattutto vedo riflessi ovunque in quel luogo il lavoro e l’opera di mio padre, da quando, appena diciottenne iniziò la sua carriera di artista là nell’azienda del nonno. L’abete ci racconta. Tra i suoi rami le immagini alimentano i ricordi e in quel cortile si illuminano i luoghi dove prendevano forma importanti opere artistiche che facevano bella la valle, ma non solo perché ogni piccolo angolo di quei luoghi, ha i suoi piccoli segreti: un bambino dispettoso che a stento sopportavo…un bel ragazzo dai capelli a spazzola che ogni giorno alle ore 14, percorreva fischiettando la strada che arrivava al cancello sul suo bel ‘cavallo verde’ che poi era la sua bicicletta,un pino, vicino a casa, che stava da sentinella all’entrata segreta di un rifugio, che arrivava sotto casa e doveva difendere ognuno di noi dai bombardamenti, un carro trainato da buoi che, ha quasi dell’incredibile, ha fatto arrivare fino al cimitero, gli elementi architettonici che dovevano fare il Sacrario dedicato ai Caduti.
Ecco..ad un tratto… si illumina il laboratorio e in un angolo vedo la Statua della Vittoria in gesso: è quella che, realizzata, in bronzo arricchirà i giardini pubblici di un bel monumento ai caduti, un’altra luce raggiunge l’ufficio dove la mamma riceveva il cliente e, all’interno, un andirivieni di sacerdoti cercava il papà per la ristrutturazione della propria chiesa e allora fu così che i paesi della Val Taro si vestirono di nuovo e di arte con lui…. poi arriva la contessa Gambarotta …che vuol ristrutturare il Castello di Compiano che lei aveva acquistato ……E’ inverno,è notte fonda,il grande cancello sempre aperto lascia passare una piccola schiera di ragazzi, sono quelli del carnevale…..Arrivano per mettere in piedi, invidiabili carri di cartapesta sotto la guida del loro maestro. Volgo lo sguardo verso il torrente,una luce mi abbaglia: è il nostro abete che proietta la vita di Tarodine dei ragazzi del quartiere e dei tanti mulattieri che lungo il fiume andavano a raccogliere sassi. Mi vedo sul ponte con papà e mamma, ci stiamo avviando verso la stazione a prendere il treno, dove avremmo dovuto raggiungere Massa e lì ci saremmo riforniti di marmo che poi, lavorato, doveva essere consegnato alla committenza..Alla base, la mia pellicola della fantasia conserva un segreto. Nascosto tra i rami, un principe azzurro aspettava di potermi rapire per portarmi là dove il marmo sovrano primeggiava su tutto, portandomi via da quel mondo fatto di tanta armonia, di allegria, di meravigliosi ricordi che il tempo non ha cancellato e vivono al di là del grande cancello che ora non è più…..un leone in gesso,servito a ricavarne i tanti leoni in cemento, che vediamo sulle villette liberty Valtaresi, ancora guardingo protegge quei luoghi e tutto ciò che è rimasto di una vita vissuta tra cementi e marmi là sulla riva del torrente….forse..anche lui ha una storia da raccontare venuta da lontano.